Le élite vogliono Draghi

 

Le élite vogliono Draghi per portare l’Italia verso l’ultima fase del nuovo ordine mondiale


di Cesare Sacchetti

Il discorso che ha tenuto Mario Draghi al meeting annuale di Comunione e Liberazione a Rimini ha tutta l’aria di essere molto vicino ad un discorso di insediamento a palazzo Chigi.

Draghi, nel suo intervento, ha messo in particolar modo l’accento sui giovani particolarmente penalizzati dall’attuale situazione economica dove le “diseguaglianze rischiano di rubare il futuro” alle nuove generazioni.

E’ davvero surreale ascoltare delle parole simili da un uomo che difatti nel corso della sua lunga carriera a stretto contatto con l’establishment bancario – finanziario ha lavorato esattamente per privare i giovani del loro futuro.

Fin dai tempi della sua presenza al ministero del Tesoro come direttore generale, l’ex governatore di Bankitalia si è messo devotamente al servizio per eseguire al meglio l’agenda di deindustrializzazione del Paese stabilità già anni prima dal potentissimo club di Roma, una delle istituzioni più influenti nella gerarchia del mondialismo.

Fu scelto lui, non a caso, per fare da cerimoniere della grande svendita del patrimonio industriale pubblico italiano a bordo del panfilo Britannia della Regina Elisabetta, il 2 giugno 1992.

Su quella nave c’erano davvero tutto l’establishment che contava.

C’erano Giulio Tremonti e Romano Prodi già presidente dell’IRI negli anni’80 che diede vita alla prima ondata di privatizzazioni selvagge.

C’erano Beniamino Andreatta, già ministro del Tesoro, e Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore di Bankitalia, autori del disastroso divorzio del 1981 tra Bankitalia e Ministero del Tesoro che privò il governo della facoltà di monetizzare il debito a bassi tassi di interesse e consentì la successiva esplosione del debito pubblico e l’acceleramento della finanziarizzazione dell’economia italiana.

Lo stesso Ciampi che proprio in quell’anno fece un altro enorme regalo alla finanza speculativa anglosassone quando nella scellerata difesa del cambio fisso della lira agganciata all’allora SME, sistema monetario europeo, svuotò le riserve di valuta estera di Bankitalia di una cifra pari a 48 miliardi di dollari, gentilmente bruciati in omaggio a finanzieri senza scrupoli come George Soros che si intascavano cifre da capogiro in dei veri e propri attacchi alle valute sovrane degli Stati nazionali.

Il gotha delle istituzioni politiche ed economiche italiane era lì per stendere il tappeto rosso alla cabala internazionalista dei banchieri e della finanza che si è comprata le migliori risorse del Paese a prezzi di saldo.

Fu certamente un anno fondamentale nel lento ed inesorabile processo di morte economica della nazione e segnò malauguratamente il definitivo sacrificio dell’Italia sull’altare del vincolo esterno, avvenuto pochi mesi dopo con la ratifica del Trattato di Maastricht, che strappò al Paese la sua sovranità monetaria con l’introduzione dell’euro negli anni successivi, e mise fine al modello dell’economia mista sostituito da quello di stampo neoliberale.

Un modello, quello dell’economia mista, che certamente Draghi conosceva molto bene perchè ha avuto come maestro il suo più autorevole e indiscusso esponente in Italia, il compianto professor Federico Caffè, che fu consulente dell’assemblea costituente e partorì le fondamenta ideologiche del successivo miracolo economico degli anni’60.

Mario Draghi: il più importante sicario dell’economia in Italia

Ma l’ex allievo di Caffè aveva già scelto un’altra strada in quegli anni. L’ex governatore di Bankitalia si era già tramutato in qualcosa di molto vicino ad un sicario dell’economia, il termine coniato dallo scrittore ed ex consulente di multinazionali, John Perkins, che lo è stato a sua volta.

Il compito del sicario dell’economia è semplice. Deve privare un Paese di tutte le sue risorse strategiche e attuare un massiccio programma di privatizzazioni per consentire al cartello degli speculatori internazionali di governare completamente l’economia di una nazione.

Mario Draghi è stato in questo senso uno dei più formidabili sicari dell’economia mai visti in Italia.

Assolse a questo compito in maniera pressoché esemplare quando portò in dote alla finanza anglosassone le migliori industrie pubbliche italiane.

Fece lo stesso con la Grecia quando da governatore della Bce appoggiò il programma di “aiuti” che portò allo spolpamento del Paese ellenico.

La strategia sostanzialmente è semplice quanto terribilmente efficace. Si lega al collo di una nazione il cappio del debito e poi lo si stringe sempre di più fino a farla soffocare.

La Grecia è stata sommersa di prestiti che sono finiti nelle tasche delle grandi banche franco-tedesche, mentre il Paese veniva smantellato dalla mannaia dell’austerità.

Draghi ebbe un compito preciso, al quale assolse ancora una volta brillantemente. Doveva scegliere tra la salvezza dell’euro e quella della Grecia.

Scelse la prima quando pronunciò le famigerate parole whatever it takes, quel “ad ogni costo” che segnò la morte della Grecia.

Le infrastrutture strategiche della Grecia sono finite in mano alle grandi società esponenti del mercantilismo tedesco.

La mortalità infantile aumentò del 43% e la disoccupazione raggiunse l’intollerabile soglia del 27%.

Fu una devastazione economica come mai vista prima d’ora nella nazione ellenica dai tempi della guerra.

L’uomo che oggi parla di “futuro dei giovani” fu lo stesso uomo che ieri firmò la condanna a morte dei giovani greci ieri.

L’euro che Draghi difese ad ogni costo fu l’arma privilegiata con il quale il neoliberismo si prese un intero Paese.

La moneta unica è stata voluta appositamente dalle élite europee perchè questa consente loro di eseguire una austerità permanente negli Stati che la adottano.

Il solo fatto che gli Stati non possono emettere moneta mette questi nelle condizioni di privati costretti ad indebitarsi per poter realizzare le spese pubbliche che prima era possibile portare avanti attraverso la creazione di una moneta sovrana.

L’euro non è stato altro che la privatizzazione della moneta e il suo scopo, oltre a quello di rendere gli Stati dipendenti dai mercati, è quello di scaricare il costo della impossibilità di svalutare il cambio sulle spalle dei lavoratori.

Non è altro pertanto che uno strumento di compressione dei salari che aumenta il potere negoziale del mercantilismo europeo, e soprattutto di quello tedesco e olandese.

E’ per questo sistema che Draghi ha lavorato nel corso della sua carriera. La sua missione era ed è quella di consentire che i poteri mondialisti del club di Roma e del gruppo Bilderberg governino completamente il destino delle nazioni.

L’uomo che l’establishment onora e rappresenta come una figura di prestigio è l’uomo che forse più di tutti in Italia ha consentito all’agenda del nuovo ordine mondiale di fare enormi passi in avanti.

La politica italiana è pronta ad accogliere Draghi come il Messia

Ora la politica italiana, ormai ridotta a succursale periferica di questi poteri, è pronta a favorire il più possibile il cammino che lo porterà a palazzo Chigi.

Non appena Draghi lo scorso ottobre ha lasciato l’Eurotower a Francoforte, il suo nome è iniziato a circolare sempre più insistentemente tra i palazzi della politica.

Non è un segreto che Giancarlo Giorgetti, eminenza grigia della Lega che si sente spesso con l’ex governatore di Bankitalia, sia uno dei suoi più accaniti sostenitori da tempo.

Ma il fronte nel frattempo si è allargato.

Lo stesso Salvini spendeva entusiaste parole di elogi per lui quando Draghi scriveva il suo ormai celebre editoriale del Financial Times.

Il solo fatto di scrivere un editoriale sul quotidiano della finanza anglosassone è già un importante segnale di avvicinamento a palazzo Chigi.

Mario Monti, un mese mezzo prima di diventare premier nel 2011, scrisse un altro editoriale proprio su questo quotidiano.

Il Financial Times ha la funzione in pratica di annunciare chi sarà il prossimo premier in Italia.

L’articolo, ad ogni modo, fu una perfetta operazione di depistaggio.

Draghi, oltre a parlare di una generica espansione dei debiti pubblici, non fece la minima menzione all’indispensabile ombrello della banca centrale come garante di questa emissione, nè comunque disse che dovevano essere gli Stati membri a dover gestire le leve della politica economica.

Nonostante questo, l’operazione servì a tirare su una enorme cortina fumogena e a veicolare il messaggio di una falsa conversione di Draghi al sovranismo che non è mai esistita.

Il sistema stava e sta cercando abilmente di portare a bordo del fronte pro-Draghi anche quella parte di elettorato che sostiene la Lega dandogli a bere questa assurda panzana di un suo ritorno alle origini keynesiane trasmessegli dal professor Caffè.

Nel frattempo, il fronte si è allargato. Ora nella cordata ci sono Bergoglio che ha già insignito l’uomo di Goldman Sachs di un prestigioso incarico all’accademia delle scienze sociali e questo vuol dire probabilmente che la chiesa anticattolica di Bergoglio che ha dato tutto il suo supporto a Conte ora è passata nel partito di Draghi.

La tela di Draghi si è estesa al M5S, dopo l’incontro con Di Maio e con pezzi del PD rappresentati da Franceschini che hanno già iniziato a dialogare con lui.

Il discorso di Rimini è stato probabilmente l’ultimo mattone sulla costruzione dell’opera dopo che Zingaretti ha espresso tutti i suoi apprezzamenti, lasciando pensare che ormai il PD sia pronto a scaricare l’ex avvocato del popolo.

A questo punto, sembra essere già tutto pronto. Il centrodestra non farà particolari ostacoli ad una venuta di Mario Draghi, salvo alcuni eventuali ripensamenti di Salvini che ora nelle ultime settimane parla più spesso di elezioni, non facendo altro che rimarcare come nel suo partito esista una profonda frattura in contrapposizione con l’ala giorgettiana che probabilmente verrà alla luce completamente dopo le amministrative.

L’abilità diabolica del sistema, ad ogni modo, sarà quella di far passare Draghi come il salvatore della Patria.

L’aumento della manopola del terrorismo sanitario lascia già presagire che a settembre ci sarà una nuova eventuale quarantena.

Draghi è stato scelto per portare l’Italia verso l’ultima fase del mondialismo

Questa situazione di destabilizzazione del Paese serve a raggiungere obbiettivi molteplici.

La crisi coronavirus è stata partorita indubbiamente dalle élite per trascinare il mondo ai piedi di questa nuova dittatura globale.

Allo stesso tempo, essa serve in maniera particolare in Italia per portare a termine l’ultima fase del processo di integrazione europeo, ovvero la nascita degli Stati Uniti d’Europa concepiti già dal conte Kalergi, padre ideologico dell’attuale UE, negli anni’20.

Draghi a Rimini ha scoperto le carte ed è stato chiaro in questo senso. La cosiddetta “pandemia” dovrà servire soprattutto alla creazione di un superministero delle Finanze UE e ad una nuova banca centrale che dovrà in qualche modo farsi garante di un unico debito pubblico europeo.

Draghi dunque assumerebbe le funzioni di premier per gestire questa finale dell’esecuzione del piano mondialista in Italia.

Gli Stati Uniti d’Europa infatti sono semplicemente imprescindibili per il nuovo ordine mondiale.

Ne parlò già chiaramente Churchill nel 1950 quando disse pubblicamente che l’ordine mondiale autoritario è l’obbiettivo finale delle élite, ma questo non potrà vedere la luce senza un passaggio necessario che porti prima alla nascita del superstato europeo.

Non sarà Conte il traghettatore di questa fase di transizione dell’Italia verso l’ultimo girone del nuovo ordine mondiale, ma Draghi che nella gerarchia delle élite massoniche occupa un posto speciale.

Se quindi l’ex governatore di Bankitalia ha ucciso la Grecia sull’altare dell’euro, ora dovrà procedere all’uccisione definitiva dell’Italia sull’altare degli Stati Uniti d’Europa e del nuovo ordine mondiale.

Questo il piano delle élite che ora aumenteranno al massimo la tensione del terrorismo sanitario per destabilizzare ancora di più il Paese, fino ad un possibile utilizzo di immigrati clandestini da usare come milizia irregolare contro gli italiani che oseranno ribellarsi di fronte a nuove chiusure.

L’esasperazione dovrà raggiungere il suo zenit e il caos dovrà essere massimo.

Solo allora, nel momento di massima confusione, farà il suo ingresso il “salvatore” designato dal sistema e le masse esasperate e sempre più allo stremo accetteranno tutto quello che in condizioni normali invece non avrebbero mai accettato.

In questo senso idealmente sembra esserci un filo rosso che collega il 2020 al 1992, quando il Paese veniva destabilizzato prima dal golpe giudiziario di Mani Pulite e poi da bombe e stragi i cui mandanti ad oggi sono ancora ignoti.

Mentre forze potenti ed occulte gettavano l’Italia nel caos, Draghi diligentemente svolgeva il compito che il sistema già allora gli aveva assegnato.

Anche in questa occasione, nel 2020, Draghi aspetta tranquillamente che le élite portino avanti l’opera di destabilizzazione che stavolta ha le sembianze del terrorismo sanitario, per poi poter fare successivamente il suo ingresso in scena e portare a termine il lavoro cominciato 28 anni fa.

Al netto delle diverse contingenze storiche, la logica che sottende questa strategia è immutata.

Le crisi e gli eventi catalizzatori assumono la funzione di accelerare brutalmente l’avanzamento del nuovo ordine mondiale che senza tali situazioni di estrema instabilità difficilmente avrebbe raggiunto i suoi obbiettivi.

Non sembrano esserci particolari intralci nel mediocre cortile della politica italiana ormai completamente allineato ai desiderata di questo piano.

Il centrodestra parla la stessa lingua autoritaria del centrosinistra.

Al momento, le carte migliori di cui dispone l’Italia vengono dall’estero e da un intervento di Trump, che ha già iniziato a far deflagrare la bomba dello spygate.

La crisi da coronavirus ha dimostrato un’eventualità incontrovertibile. Il sistema Paese in ogni sua derivazione, politica, mediatica e giudiziaria è profondamente infetto e non potrà esserci una rinascita se prima non si procede ad un completo azzeramento.

In questo senso, la prospettiva di una tangentopoli stavolta non orchestrata dal deep state USA, ma contro di esso e contro l’establishment politico italiano che ha partecipato nel colpo di Stato contro Trump, sembra essere la via più rapida.

La minoranza consapevole dovrà comunque prima o poi organizzarsi. Gli uomini e le donne di buona volontà dovranno cercare di unirsi prima o poi per costituire una resistenza contro il nuovo ordine mondiale.

Monsignor Viganò guida spirituale della resistenza contro il nuovo ordine mondiale

L’unico uomo che ha acceso una luce di speranza in mezzo al buio connivente della politica italiana è stato monsignor Viganò con la sua lettera a Trump, alla quale il presidente ha risposto e questo fa di lui l’unico vero e serio interlocutore del presidente americano in Italia.

E’ l’arcivescovo italiano che sta assestando i colpi più forti contro questa minacciosa dittatura globale e sembra essere soltanto lui l’uomo in grado di costituire un fronte a difesa della Chiesa di Cristo e a difesa di questa nazione, tanto detestata dal mondialismo per la sua vitale importanza in termini religiosi e spirituali.

Sta per iniziare l’assedio finale e l’auspicio è che chi ancora non ha preso coscienza possa farlo il prima possibile.

Coloro che sono consapevoli aiutino, se possono, coloro che ancora vagano nell’oscurità delle menzogne di regime.

Le parole di Viganò a Trump possono essere davvero illuminanti per comprendere cosa c’è davvero in gioco.

La posta in palio è altissima. Non è in gioco solo la sopravvivenza di questa storica nazione, ma l’anima stessa del suo popolo, profondamente contaminata dallo spirito del mondialismo e dell’odio verso il proprio prossimo.

Solo un percorso di presa di coscienza spirituale può aiutare a capire in che periodo storico ci si trova.

Chi non lo ha ancora fatto, lo faccia presto e inizi a pregare perchè le forze dei figli della luce prevalgono su quelle dei figli delle tenebre.


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