Firenze porno-DAD

 Con la didattica a distanza diventa sempre più difficile arginare il diluvio di iniziative pedagogicamente discutibili. Quanto è accaduto venerdì scorso nell’Istituto tecnico statale per il turismo «Marco Polo» di Firenze è emblematico: la pornografia lesbica diventa oggetto di dibattito scolastico. La pornografia. L’intimità non è un tabù, parliamone è stato il titolo dell’assemblea virtuale che ha visto la partecipazione di un’attrice a luci rosse, Sara Brown, e di un’autrice teatrale, Antonella Questa. La notizia è arrivata sabato ad alcuni genitori legati all’associazione «Non si tocca la Famiglia», che ha immediatamente lanciato contromisure. «Scriveremo al dirigente scolastico e, in copia, al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e agli uffici scolastici provinciali», dichiara Giusy D’Amico, presidente di Non si tocca la Famiglia, ad “iFamNews”.

Quali sono i contenuti più inaccettabili dell’iniziativa del «Marco Polo»?

Il webinar è stato organizzato dai ragazzi in occasione della «Settimana per gli studenti», autorizzata dal preside, Ludovico Arte. All’inizio sembrava che l’obiettivo fosse valutare i rischi della pornografia. Invece stato è subito proiettato il trailer di una pellicola pornografica di genere lesbo, piuttosto esplicito. Quindi è intervenuta una giovane attrice porno, Sara Brown, lesbica lei stessa, che ha dichiarato di avere scoperto un nuovo modo di fare pornografia “buona” e consensuale, ovvero ricca di tutta una serie di attenzioni agli attori e al modo in cui essi si pongono davanti alle telecamere. La Brown ha poi elogiato i rapporti tra persone dello stesso sesso, sostenendo la giustezza di una visione “diversa” di queste cose e raccontando di come ha approcciato la propria partner in quel film. Citando l’azienda per cui lavora, l’attrice ha pure offerto consigli pratici. La regista Antonella Questa, femminista cinquantenne, ha chiuso l’incontro dicendosi favorevole a discutere di pornografia con i ragazzi, perché, ha sostenuto, «è bene parlarne».

E il preside?

Abbiamo trovato il preside molto evasivo e vuoto. Ha detto pressappoco che “bisogna essere liberi”, che per iniziative del genere “non è neanche necessario chiedere l’autorizzazione”, perché “i giovani hanno bisogno di parlare liberamente di questo”. Poi ha parlato di “libertà” e di “responsabilità” per dire che i ragazzi sono liberi di fare, di pensare e di esplorare territori visti come tabù dagli adulti. Ha però aggiunto dicendo che è responsabilità dei ragazzi “non fare errori” e che, in ogni caso, si è trattato di una “grande occasione”, che sarà ripetuta.

La sua associazione come si sta muovendo?

Stiamo preparando un video in cui inseriremo gli spezzoni più controversi del webinar. Nel frattempo, abbiamo ricevuto tantissime e-mail da tutta Italia di genitori che ci chiedono conto dell’accaduto. A tutti rispondiamo che si è trattato di un abuso nel metodo e nel merito.

Perché?

Quanto al metodo abbiamo contestato l’iniziativa, scrivendo al dirigente scolastico e mettendo in copia ministro dell’Istruzione, uffici scolastici regionali e provinciali, nonché dipartimento dello studente. In sostanza vogliamo comprendere se i genitori fossero al corrente dell’iniziativa. In questo tempo di pandemia è molto difficile recepire il consenso informato delle famiglie perché, per esempio, non vi sono più relazioni dirette con gli uffici della direzione didattica. C’è quindi una difficoltà oggettiva a contattare i genitori via e-mail, ma anche i genitori, da parte propria, non hanno sempre dimestichezza con la posta elettronica, le firme digitali, la scansione di documenti, e così via. Prima era tutto più semplice. Andare all’ufficio scolastico, depositare il consenso informato preventivo e ritirare il numero di protocollo per avere la certezza che questo fosse registrato è una modalità che oggi non si attua più. È più di un anno che nelle segreterie non si va, se non per appuntamento.

Morale?

Sono anni che lavoriamo per tutelare i nostri ragazzi dai pericoli dell’indottrinamento gender e dalle trappole della rete, e ora, oltre alle 4-5 ore di didattica a distanza, se ne aggiungono altre 4-5 di dirette su temi eticamente sensibili, cioè divisivi. La natura di questi percorsi non fa certo parte del curriculum obbligatorio delle discipline (italiano, storia, matematica, filosofia e così via). Stiamo cioè sottraendo tempo ai veri apprendimenti, che in questo anno di emergenza hanno subito un vero e proprio attacco, e in più esponiamo gli studenti a contenuti pornografici. Abbiamo evidenziato queste criticità, chiedendo che non si ripeta più una cosa simile, anche perché va a discapito della partecipazione e del patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia. Dubitiamo, quindi, che sia stato chiesto a tutti il consenso informato. Su queste questioni, i genitori hanno diritto di priorità sulla scelta del tipo di istruzione da impartire ai propri figli, fino alla maggiore età. Già in una circolare del ministero dell’Istruzione del 2015 si evidenziava come pornografia, gender, promiscuità e travestitismo fossero tematiche che non rientravano in nessun modo nei programmi della scuola italiana. Il consenso informato preventivo è stabilito da una circolare ministeriale del 2018, quindi vi sono enormi criticità che vanno sollevate. Chiederemo al ministro dell’Istruzione e a molte associazioni di adoperarsi per arginare i rischi che i ragazzi corrono di cadere in una dipendenza irreversibile dalla rete.

FONTE


Luca Marcolivio

Giornalista professionista, Luca Marcolivio è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa Cristiani Today, collabora con La nuova Bussola QuotidianaPro Vita & Famiglia e con il blog del Centro Machiavelli. Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di Zenit. Ha pubblicato Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato e curato La società dell’allegria. Don Bosco raccontato dai salesiani del XXI Secolo

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