Per non dimenticare : strage di Gruaro

 Barbui Erminio (anni 4),

Basso Maria (14mesi),

Biasio Renato (20 mesi),

Biason Placida ( 2 anni),

Bonan Luigi (6 anni),

Bor­colussi Mirella (7 anni),

Bravo Giovanni (15 mesi),

Colaurri Giuseppe (3 anni e mez­zo),

Dreon Gio Barra (3 anni),

Falcomer Evelina (20 mesi),

Innocente Celso (19 mesi),

Marson Maria (2 anni),

Moro Antonietta (4 anni),

Nosella loie (19 mesi),

OclandoMaria (3 anni),

Pascherro Bruno (5 anni),

Pascheno Plinio (18 mesi),

Peresson Plinio(2 anni),

Romanin Edda (2 anni), suo fracello Sante (3 anni),

Scefanuco Imelde (4anni), suo fratello Luciano (14 mesi),

Toffoli Iole (17 mesi),

Toneacci Florida (6 anni),

sua sorella Sira (2 anni),

Zambon Caterina (16 mesi),

Zanin Maria (2 anni), e Zanon Celia (6 anni)


Nomi. 

Per molti di voi sono solamente nomi e niente di più. 

Ma dietro a questi semplici nomi c'è una STRAGE 

Ariego Rizzotto, nel libro “Gruaro, venti secoli di storia“, racconta che il 3 dicembre 1932 il prefetto Bianchetti pregò il podestà Adami di disporre una vaccinazione antidifterica per i bambini di Gruaro. La ragione risiedeva nel continuo verificarsi di casi di infezione. L’ufficiale sanitario del Comune, Betti Bettino, riferì al podestà che negli ultimi tre anni si erano verificati solamente due casi, regolarmente denunciati alla Regia Prefettura, e che dunque non sentiva l’emergenza.

Il 10 gennaio 1933 il prefetto riferì che la vaccinazione era da considerarsi una misura profilattica. Il 20 marzo, considerati gli indugi del podestà, il prefetto Bianchetti intimò di dare evasione alla sua richiesta. Il dottor Betti avviò dunque le vaccinazioni sui bambini da 1 a 8 anni di età.

Nella sua lettera al Sindaco, Gasparotto racconta che a essere contrari a tale vaccino sperimentale erano anche il Parroco di Gruaro, don Angelo Cominotto, e quello di Bagnara don Gioacchino Muzzatti, ma vennero costretti a convincere la gente a portare i bambini nell’Ambulatorio Comunale. In una settimana vennero vaccinati 253 bambini. Il 18 aprile il dottor Betti riscontrò un primo caso allarmante con un paziente di 3 anni «colpito agli arti inferiori» e già dal giorno successivo iniziarono a moltiplicarsi i casi di paralisi.

Morirono 28 bambini.

Il dolore dei famigliari di Gruaro e la paura del ripetersi di un’ecatombe portò ad un’astensione dalle vaccinazioni obbligatorie disposte per legge nel 1941. Sul Gazzettino leggiamo che ogni famiglia colpita dal lutto ricevette 7mila lire di indennizzo. Adamo Gasparotto e il Sindaco di Gruaro fanno denuncia sul silenzio che è stato posto sulla vicenda e sull’assenza di un provvedimento giudiziario che colpisse i responsabili della strage dei bambini. La causa di un tale numero di vittime si scoprì solamente negli anni successivi. Un contenitore di siero proveniente dal laboratorio di Napoli non venne fatto bollire, e a Gruaro arrivarono fiale contenenti vaccino vivo LETALE


I nomi delle vittime sono riportati solamente in due cappelle: quella del cimitero di Gruaro e una a Bagnara, ma non vengono indicate le circostanze né le cause della strage. Ciò che si chiede è una targa o una lapide in loro onore.





La storia di Delfina Bravo


Siamo a dicembre del 1932 quando viene resa obbligatoria la vaccinazione antidifterica ai bambini di Gruaro di età compresa tra i tredici mesi e gli otto anni. Nonostante il parere contrario dell'allora dottor Bettino Berti, la vaccinazione venne effettuata con la forza e fu una strage, perpetrata nel silenzio più assoluto anche perchè fu fatto un errore a Napoli e una parte del vaccino non fu fatto bollire e arrivo vivo.

Tra i sopravvissuti a quella infamia, c'è Delfina Bravo, classe 1927, all'epoca aveva sei anni quando la maestra in classe ed il parroco in chiesa, avvisarono di questa “semplice puntura” invitando i genitori a rispettare l'ordinanza del podestà Adami. La Delfina però, insieme alla cugina Amelia, si nascose per una notte all'interno di un covone di canne di granturco. Purtroppo, quando la mattina dopo rientrarono in classe, la maestra chiuse la porta a chiave e costrinse tutti gli scolari a sottoporsi al vaccino nel vicino ambulatorio.

«Era venuta anche mia madre Enrica con mio fratello Giovanni, di appena quindici mesi», ricorda ora delfina, 82 anni dopo, «Mi sentii male e dai dolori battevo la testa contro il muro. Mio fratello era già stato portato in ospedale e mia madre rimase con lui fino a quando morì. Presi io il suo posto, l'ospedale era stracolmo e solo della famiglia Bravo, eravamo in otto ricoverati. Mia madre Enrica era disperata per aver perso il piccolo Giovanni e stava per perdere anche me. Le visite del segretario comunale Bortolussi e dei gerarchi si susseguivano cercando di trovare una giustificazione plausibile a questi continui decessi. Io peggioravo a vista d'occhio e mia madre si sentì morire quando durante la visita del segretario mi venne scattata una foto che sarebbe servita per la lapide in quanto le mie condizioni erano disperate. E fu a quel punto che mia madre inveì contro di lui accusandolo di non aver vaccinato nessuno dei suoi cinque figli, mentre noi eravamo in otto e tutti in ospedale.Riuscii a salvarmi ma le traversie non erano finite, ero piena di atroci dolori agli arti inferiori. Fui mandata in soggiorno a Cortina dove conobbi i compagni di sventura di Cavarzere che erano stati sottoposti alla stessa vaccinazione. Vite e sofferenze parallele ma nel dolore una sola gioia di bambina: almeno si mangiava. Dopo qualche mese la salute migliorò e feci ritorno a casa. Ma le conseguenze di quella puntura mi perseguitavano. A undici anni però, io e le mie cugine fummo mandate a servizio a Napoli, su consiglio del parroco don Angelo Cuminotto. Qui dopo pochi giorni, le gambe si gonfiarono, le pelle si staccava a brandelli, facendo fuoriuscire del pus. Mi portarono da un medico che si stupì del fatto ma quando dissi che ero stata vaccinata, sbiancò in volto affermando che sapeva di quanto era accaduto a Gruaro. Infatti l'Istituto Sieroterapico che aveva inviato il vaccino era di Napoli ed il regime aveva provveduto a chiuderlo e ad arrestarne il direttore. Mio padre venne a prendermi e per anni ho dovuto ricorrere alle cure mediche per la cicatrizzazione delle piaghe. Vicino a lei Bruna Lena, classe 1931, anche lei vaccinata, a due anni, ma per fortuna non ha avuto conseguenze e ricorda solo le quotidiane visite del medico, di quel Bettino Berti che solo contro tutti cercò di ostacolare quella vaccinazione maledetta

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