Sergio Mattarella, il retroscena

 

Sergio Mattarella, il retroscena: "Quasi un colpo di Stato", così dopo il referendum respingerà l'assalto di Salvini e Meloni

Un piano pronto al Quirinale per "sbarrare la strada" a Matteo Salvini e Giorgia Meloni. L'esito del referendum sul taglio dei parlamentari del 20 e 21 settembre, abbinato a una tornata significativa delle regionali (sei regioni al voto, il centrodestra sogna un clamoroso 5-1), si presta a molteplici letture e scenari. Se vinceranno i "No" e la misura-bandiera del Movimento 5 Stelle verrà respinta, si genererà innegabilmente uno tsunami in grado di travolgere (in abbinata con la possibile sconfitta delle amministrative) la già fragile tenuta della maggioranza giallorossa. Ma anche se, viceversa e come prevedibile, dovessero avere la meglio i "Sì", i grillini tirerebbero un sospiro di sollievo ma il centrodestra potrebbe andare alla carica chiedendo a Sergio Mattarella di sciogliere le Camere e tornare al voto. Secondo la Stampa, Salvini "penserà di avere un motivo in più per pretendere ascolto, di natura politica ma anche giuridica e costituzionale. Dirà (secondo svariati indizi) che in Parlamento siedono 345 «abusivi», i deputati e i senatori di troppo. E sebbene il taglio scatti dalla prossima legislatura, perché così vuole la riforma, l'ossequio alla volontà popolare pretenderebbe di accorciare i tempi con elezioni immediate". Argomento pesante, cui si aggiunge il possibile "disallineamento" tra equilibrio parlamentare (maggioranza di centrosinistra, sia pure arruffata) ed esito del voto alle regionali (c'è chi sogna addirittura un "cappotto", 6-0 in Liguria, Veneto, Toscana, Marche, Campania e Puglia). A quel punto,cosa farebbe il presidente della Repubblica?

"Alla tesi del Parlamento «delegittimato» dal Sì, sul Colle credono in pochi - scrive il retroscenista Ugo Magri -; né lassù si farebbero condizionare dal pressing salviniano. Perché è vero che il capo dello Stato può sciogliere le Camere «sentiti i loro presidenti», quasi una formalità; però non si tratta assolutamente di un potere assoluto, arbitrario, monarchico. La prassi prevede che le elezioni possano venire anticipate solo nel caso in cui manchi una maggioranza. Ma se la maggioranza esiste, ed esprime un governo, convocare le urne equivarrebbe quasi a un colpo di Stato". C'è un precedente, ricorda il quotidiano torinese, che al Quirinale "conoscono a menadito. Ventisei anni fa l'allora presidente, Oscar Luigi Scalfaro, indisse nuove elezioni alla luce dei grandi cambiamenti politici che si erano determinati con Mani Pulite, compresa la riforma del sistema elettorale. A prima vista sembrerebbe la fotocopia della situazione attuale, nel caso vincesse il Sì. Ma c'è un dettaglio decisivo: Scalfaro ottenne il via libera dell'allora premier, Carlo Azeglio Ciampi, il quale dichiarò esaurito il proprio compito". La palla, insomma, tornerebbe nel campo di Giuseppe Conte, Pd e 5 Stelle: rinuncerebbero mai alle loro poltrone?


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