Ora l'emergenza è la giustizia. Parla l'onorevole Costa

Due mesi, dal 9 marzo all’11 maggio, di giustizia negata. Il concetto può apparire forte, ma il lockdown è stato anche questo: udienze annullate (salvo rari casi eccezionali), ricorsi non esaminati, aule deserte, cancellerie vuote. La riapertura, anche in questo caso, è solo parziale: fino al 31 luglio, data che si sposterà naturalmente almeno fino al primo settembre per la pausa estiva, i dibattimenti si terranno da remoto, in videoconferenza insomma. In un Paese dove i tempi della giustizia sono, atavicamente, biblici e i fascicoli dormono sonni infiniti, questa sosta forzata diventa un’emergenza che si trascinerà a lungo nella post emergenza sanitaria, con ripercussioni su quella economica. Pur molto grave, non è però soltanto questa l’emergenza giustizia al tempo del coronavirus.

Autorevoli giuristi non accusabili di partigianeria politica, tra gli altri Sabino Cassese, Antonio Baldassarre, Gaetano Silvestri, Cesare Mirabelli, hanno sollevato fortissimi dubbi sulla legittimità della prolifica decretazione emergenziale con la quale sono state sospesi diritti costituzionalmente garantiti: dalla libertà di circolazione, a quella di culto, passando per quella di riunione e, non ultimo, appunto il diritto alla giustizia.

Onorevole Costa, nel clima emergenziale e di paura questa sospensione a un diritto fondamentale come quello alla giustizia è, in qualche modo, passato in secondo piano. Un fatto naturale, ma anche un rischio non considerato appieno nelle sue conseguenze? Ma, ancor prima, quelle limitazioni alla libertà personale sono state assunte nella maniera corretta?
“È vero, nella fase immediata non ci si è soffermati su questo tema. Adesso, da qualche giorno, se ne sta discutendo. Una cosa è certa e deve essere chiara: a fronte di determinate scelte, come quelle imposte dalla pandemia, devono esserci dei bilanciamenti. Di più: se una compressione dei diritti si reputa necessaria, questa deve comunque essere fatta con strumenti normativi adeguati”.

È stato così?
“No. Questo questo non è avvenuto. Purtroppo, non ne sono stupito, perché questo Governo sono mesi che non porta in approvazione un disegno di legge, strumento che necessita approfondimenti, un’analisi parlamentare. Quando va bene si interviene con il decreto legge, ma abbiamo visto quanti Dpcm, decreti del presidente del Consiglio. A questo punto come stupirsi anche di fronte a un disordine normativo come quello che contraddistingue la gestione di questa Fase 2, dopo averlo fatto anche con la prima”.

Enrico Costa, avvocato, parlamentare di Forza Italia, è stato viceguardasigilli e ministro agli Affari regionali e Autonomie nel Governo Renzi, attualmente è componente della commissione Giustizia della Camera e responsabile nazionale del partito per la stessa materia. Rivendica il suo essere liberale e proprio alla “differenza profonda tra i principi liberali e chi invece crede che debba essere lo Stato ad orientare la vita dei cittadini” invita a guardare per comprendere cosa è successo in questi mesi, ma anche prima.

“Nell’emergenza acuta alcune misure le si possono anche comprendere, ma quando queste assumono una loro definitività, allora tutto connota e qualifica un tipo di politica. Alcuni della maggioranza possono anche definirsi liberali, ma se difendono tesi e atteggiamenti di un certo tipo, la contraddizione è evidente”.

C’è una sottovalutazione delle garanzie dell’individuo, facilitata dalla situazione che normale non è certo tornata?
“Le garanzie sono considerate degli orpelli. Basta guardare i processi dove vengono trattate come perdite di tempo”.

Il commissario Domenico Arcuri ha annunciato per fine mese la app Immuni. Lì le garanzie non sono cosa di poco conto.
“Abbiamo dovuto chiedere trenta volte come avrebbero agito per disciplinare la materia. Poi il ministro ha dato vita a una task force snella, nientemeno che 74 persone, che ha definito il percorso, senza alcun provvedimento pur essendo di fronte a una materia delicatissima in maniera di privacy e sicurezza. Alla fine hanno fatto un decreto legge buttandolo dentro a quello che riguardava la scarcerazione dei mafiosi”.

A proposito, di scarcerazioni, il ministro Bonafede è rimasto al suo posto, le mozioni di sfiducia bocciate. Resta la questione con il pm Nino Di Matteo. Lei…
“Guardi, a me la lite tra Di Matteo e Bonafede interessa poco. Mi interessa e mi preoccupa che Bonafede, insieme ai suoi amici del Pd ormai allineati su tutto, è un ministro che avrebbe il compito di garantire la durata ragionevole dei processi”.

Invece, con il lavoro arretrato dall’emergenza sanitari, i ritardi cresceranno ancora. È così?
“Certo. Soprattutto per un motivo: anziché organizzare un servizio giustizia che possa rendere omogenea la sua erogazione, Bonafede cos’ha fatto? Ha lasciato la decisione ai capi degli uffici con il risultato che ci sono protocolli diversi per ciascun tribunale, con gli avvocati costretti a districarsi in questa giungla. Una confusione incredibile. Processi che si potrebbero celebrare vengono rinviati in blocco, di mesi e mesi. Gli avvocati pregano di fissare le date, altro che giocare sui rinvii come qualcuno sosteneva quando si parlava della prescrizione”.

Prescrizione di cui i Cinquestelle hanno portato a casa l’abolizione. Della riforma del processo penale che sarebbe dovuta essere una condizione per il provvedimento bandiera, non si parla più. Che succede?
“Che siamo arrivati al punto che in commissione non abbiamo ancora visto la calendarizzazione. Altro che mediazione del Pd, il famoso lodo. La verità è che i Cinquestelle hanno ottenuto l’abolizione della prescrizione, il resto sono balle”.

E nei prossimi mesi i processi di faranno da remoto. Sono molte le perplessità e i problemi sollevati su questo sistema che proseguirà anche quando si può andare al ristorante, al bar e le aziende hanno riaperto.
“Anche in questo caso, con un emendamento al decreto legge, è stato previsto che nella fase di emergenza il processo si possa celebrare da remoto. Ognuno si collega dove vuole, anche dal divano di casa. Una roba incredibile. Abbiamo fatto una battaglia terribile, si violavano principi sacrosanti, e abbiamo ottenuto che almeno l’audizione dei testimoni e la discussione finale non si facciano da remoto. Ma anche questo è un segnale di come intendono il processo. Una volta credevo fossero solo i Cinquestelle ora sono sempre più convinto che sia tutta la maggioranza. Vogliono togliere garanzie, svilire il processo. La vera sentenza per loro è la conferenza stampa, l’annuncio coi nomi degli indagati”.

Torniamo alla carcerazione preventiva, l’ex parlamentare e assessore regionale Roberto Rosso è in carcere da dicembre. Non le pare una situazione difficilmente spiegabile, simbolo di molte altre analoghe che riguardano persone meno note?
“Non voglio entrare nel caso specifico, ma è evidente che in molte circostanze la custodia cautelare diventa la vera pena. Abbiamo circa 50mila arresti l’anno e di questi il 20% si scopre poi dopo anni che non sarebbero dovuti essere effettuati. La custodia cautelare dev’essere una misura assolutamente eccezionale”.

C’è chi ha detto che dopo aver contato i morti, si conteranno le inchieste. Lei crede che questa emergenza si lascerà dietro una scia giudiziaria? Vede una sorta di Mani pulite con i guanti antivirus?
“Vedo, in questa fase in cui bisognerebbe affrontare i problemi, che il principale impegno ad ogni livello istituzionale è quello di cercare lo scaricabarile, di essere a posto con le carte. In una situazione così complicata in cui si accumulano le norme e spesso si contraddicono, è difficile evitare il rischio. Premesso che se qualcuno davanti al pericolo si è girato dall’altra parte o ha cercato di lucrare va perseguito senza tregua, va osservato che aver piegato il diritto com’è avvenuto, sommato norme su norme non ha che generato confusione. Ho letto interpretazioni del ministero dell’Interno che dicevano letteralmente il contrario di quanto scritto nel decreto. Poi, oltre al Governo, l’Inail, le Regioni, i comitati tecnico-scientifici, insomma muoversi in questo caos normativo è difficile e pure rischioso”.

Lei, insieme a suoi colleghi di partito, ha attaccato duramente il Governo per la responsabilità penale del datore di lavoro se un dipendente rimane contagiato. Molti annunci di un rimedio, ma la norma non c’è ancora.  
“Basterebbe scrivere che se il datore di lavoro ha osservato le prescrizioni il procedimento non si apre neppure. Perché il problema, paradossalmente, non è l’eventuale condanna per una colpevolezza che oggettivamente vedo difficile da provare, ma la solita interminabile condanna anticipata con il nome sui giornali, il timbro di colpevole, un processo da aspettare per anni e chissà quanto dura. In questo caso, però, la colpa non è dei magistrati, ma di chi ha scritto quella norma sbagliata e assurda. E ancora non l’ha corretta”.


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