Ce la fate a fare 1+1?

 Partiamo da lontano...


Partiamo dalla "Spagnola" 


Un nuovo sviluppo storico che si è evoluto nel corso di alcuni anni e ora messo a fuoco a causa del COVID-19, è la cosiddetta "influenza spagnola" del 1918. Stanno emergendo rapporti e documentazione ricorrenti per dirci che questa "più grande pandemia in La storia era[1] non "spagnolo",[2] non "l'influenza" e,[3]non un evento naturale, ma il risultato dell'armeggiare dell'uomo con i vaccini. Sicuramente c'è molto di più da emergere, ma le prove accumulate fino ad oggi sono troppo convincenti per essere respinte.

In termini semplici, le prove emergenti supportano le ipotesi che la pandemia del 1918 sia stata causata da un programma di vaccinazione contro la meningite del Rockefeller Institute fuorviato e molto sperimentale che è stato avviato a Fort Riley dalle forze armate statunitensi e da lì si è diffuso nel mondo. Questo saggio tenterà di documentare brevemente le prove finora disponibili. Ovviamente ci saranno molte obiezioni al contenuto di questo saggio, non solo da ideologi e troll, ma anche da coloro che si trovano in posizioni elevate con organi vitali che richiedono protezione.

In primo luogo, non c'è mai stata alcuna giustificazione per associare la pandemia del 1918 alla Spagna. L'agente patogeno non è originario della Spagna, né la Spagna è stata la più colpita. La "storia ufficiale" più comunemente accettata come raccontata dal nostro MSM è che tutti i paesi tranne la Spagna avevano avviato una severa censura (a causa della guerra) e quindi i fatti della pandemia circolarono liberamente solo nei media spagnoli, e così fu " naturale "per riferirsi a questo come l'influenza spagnola. Da questo ragionamento, poiché sappiamo tutti che gli Stati Uniti hanno almeno il 125% di libertà di parola e meno lo stesso grado di censura, dovremmo ribattezzare COVID-19 "La maledizione americana". (Questo può ancora accadere, per altri motivi più validi).

In ogni caso, le prove documentate sono sempre più voluminose - e sempre più solide - che questo focolaio abbia avuto origine a Fort Riley, Kansas, negli Stati Uniti. I teorici della cospirazione e i revisionisti storici non possono cambiarlo adesso.

La pandemia del 1918 fu probabilmente la peggiore che il mondo avesse visto, sicuramente da secoli. Ha infettato circa 500 milioni di persone e ucciso almeno 50 milioni in tutto il mondo. L'attuale "narrativa ufficiale" (di nuovo) è che è stata causata da "un virus H1N1 che ha avuto origine negli uccelli" (che in ogni caso non è un '"influenza"), e il suo unico tenue collegamento con gli Stati Uniti era che era " identificato per la prima volta negli Stati Uniti nel personale militare ”nella primavera del 1918. Queste affermazioni sembrano essere false. In un rapporto del 2008, l'NIH degli Stati Uniti ha ammesso che la maggior parte dei decessi non erano dovuti a "influenza" né a virus avicoli, ma a polmonite batterica.[1] I dettagli degli studi lo confermano ampiamente, in cui anche il dottor Anthony Fauci afferma: "Siamo completamente d'accordo sul fatto che la polmonite batterica abbia giocato un ruolo importante nella mortalità della pandemia del 1918".[2][3][4][5]Infatti, ora si afferma che il motivo per cui la moderna tecnologia medica non è mai stata in grado di identificare il "ceppo influenzale killer" da questa pandemia era perché l'influenza non era il killer. Potrebbe essere ovvio per noi oggi perché sappiamo che l'influenza attacca i giovani, gli anziani e gli immunocompromessi, mentre l '"influenza spagnola" ha attaccato le persone sane nel loro periodo migliore - che è ciò che fa una polmonite batterica.

Ancora una volta, la narrazione ufficiale ci dice che, a causa dei movimenti delle truppe a causa della guerra, l'agente patogeno si è diffuso in tutto il mondo. Ma l'attuale tesi emergente è che i movimenti delle truppe avrebbero potuto essere irrilevanti perché Rockefeller, nella loro fretta e arroganza combinate, "ha inviato il loro siero anti-meningococco sperimentale in Inghilterra, Francia, Belgio, Italia e molti altri paesi, contribuendo a diffondere l'epidemia in tutto il mondo. " Sicuramente sembra essere il principale sospettato, e possiamo capire la riluttanza dell'OMS e del CDC di oggi a rivelarlo alla stampa popolare. Come ha scritto il dott.Kevin Barry:

Sarebbe molto più difficile mantenere il mantra del marketing "i vaccini salvano vite" se un esperimento sui vaccini avesse origine negli Stati Uniti. ha causato la morte di 50-100 milioni di persone. (e) "L'American Rockefeller Institute for Medical Research e il suo vaccino contro il meningococco batterico sperimentale potrebbero aver ucciso 50-100 milioni di persone nel 1918-19" è uno slogan di vendita molto meno efficace.[6]

La pistola fumante

Secondo il documento del National Institute of Health del 2008, la polmonite batterica è stata il killer in almeno il 92,7% delle autopsie del 1918-19 esaminate. È probabilmente superiore al 92,7%. I ricercatori hanno esaminato più di 9000 autopsie e "non ci sono stati risultati negativi della coltura polmonare (batterica)". “… Nelle 68 serie di autopsie di qualità superiore, in cui si poteva escludere la possibilità di colture negative non segnalate, il 92,7% delle colture polmonari autoptiche erano positive per ≥1 batterio. … In uno studio su circa 9000 soggetti che sono stati seguiti dalla presentazione clinica con l'influenza alla risoluzione o all'autopsia, i ricercatori hanno ottenuto, con tecnica sterile, colture di pneumococchi o streptococchi da 164 dei 167 campioni di tessuto polmonare.

“C'erano 89 colture pure di pneumococchi; 19 colture da cui sono stati recuperati solo streptococchi; 34 che hanno prodotto miscele di pneumococchi e / o streptococchi; 22 che ha prodotto una miscela di pneumococchi, streptococchi e altri organismi (principalmente pneumococchi e streptococchi non emolitici); e 3 che hanno prodotto streptococchi non emolitici da soli. Non ci sono stati risultati negativi della coltura polmonare. "[2]Pneumococchi o streptococchi sono stati trovati in "164 di (i) 167 campioni di tessuto polmonare" sottoposti ad autopsia. Questo è il 98,2%. I batteri erano l'assassino[6]

“I volumi del 1918 e 1919 del Journal of American Medicine Association includono molti articoli sulla causa, la prevenzione e il trattamento dell'influenza. Ancora una volta, gli investigatori si chiedono la presenza macchiata di B. influenzae nei malati, notano la sua presenza in individui sani e la osservano in altre infezioni come morbillo, scarlattina, difterite e varicella (varicella). In un articolo, gli autori scrivono: "Non sembra esserci alcuna giustificazione per la convinzione che l'epidemia fosse dovuta al bacillo dell'influenza, che è probabilmente un invasore secondario e ha circa la stessa relazione con i casi di influenza delle infezioni respiratorie di un tipo diverso ”(Lord 1919).[7]

Questo sembra essere l'inizio della storia:

A seguito di un'epidemia di meningite epidemica a Camp Funston, Kansas, nell'ottobre e novembre 1917, fu intrapresa una serie di vaccinazioni antimeningite su soggetti volontari del campo.[8]A quel tempo, le vaccinazioni (e forse gran parte della scienza medica in generale) erano nella loro infanzia, con molto sconosciute. In particolare, lo stesso dottor Gates (vedi Nota 8) osserva che prima di questo periodo, "i vaccini contro il meningococco non sono stati ampiamente utilizzati per l'immunizzazione profilattica, e nella letteratura si trovano solo pochi riferimenti che riguardano le esperienze di vaccinazione". Egli riferisce inoltre che i pochi casi citati hanno sperimentato reazioni "molto gravi" ai vaccini, che erano del tutto sperimentali.

In questo caso, il Rockefeller Institute, che sembra essere il luogo in cui hanno avuto origine gli esperimenti per l'apertura di questo scomparto speciale del vaso di Pandora, ha escogitato un vaccino sperimentale ed era comprensibilmente ansioso di "vedere cosa succede". Apparentemente era un vaccino antibatterico piuttosto grezzo che veniva prodotto nei cavalli. Non ho la competenza medica per commentare la porzione equina, ma altri più esperti hanno suggerito che questo potrebbe non essere il metodo migliore. Un enorme vantaggio della guerra per Rockefeller fu che l'esercito americano passò da poco più di 250.000 a 6.000.000 di uomini, con il "Rockefeller Institute for Medical Research" che ora disponeva di un enorme pool di cavie umane per condurre esperimenti sui vaccini.

In un articolo di 26 pagine pubblicato nel luglio del 1918 dal dottor Fredrick L. Gates, MD, First Lieutenant, Medical Corps, US Army, scrivendo dal Base Hospital, Fort Riley, Kansas, e The Rockefeller Institute for Medical Research, New York, il dottor Gates delinea la procedura.[8]

Per la determinazione del dosaggio e lo studio delle reazioni e della formazione di anticorpi sono stati scelti sei gruppi di circa 50 uomini ciascuno tra le varie compagnie del reggimento. I gruppi successivi hanno ricevuto dosi crescenti di vaccino in una serie di tre iniezioni a intervalli di 4-10 giorni. La determinazione del dosaggio del vaccino per i gruppi successivi è seguita dalle segnalazioni delle reazioni prodotte dalle dosi date. Si è ritenuto importante aumentare gradualmente le dosi per localizzare da vicino la zona delle reazioni lievi ed evitare risultati inaspettatamente gravi.

Il verificarsi di una reazione occasionale di maggiore gravità anche con le dosi più piccole e l'aumento della tenerezza locale dopo l'iniezione delle dosi maggiori di vaccino hanno portato alla scelta di dosi relativamente più basse per la serie generale in tutto il campo piuttosto che al tentativo di spingere il dosaggio fino al limite di resistenza. L'esperienza successiva ha pienamente giustificato questa decisione. La serie preliminare di vaccinazioni, quindi, è servita a stabilire il metodo di iniezione, il dosaggio appropriato per la vaccinazione prolungata, le reazioni che ci si poteva aspettare dopo le dosi scelte e la produzione di corpi immunitari nel siero degli uomini vaccinati. Sulla base di questi risultati, il vaccino è stato offerto al campo in generale.

"Finora i vaccini contro il meningococco non sono stati ampiamente utilizzati per l'immunizzazione profilattica e nella letteratura si trovano solo pochi riferimenti che riguardano le esperienze di vaccinazione".

Quei pochi riferimenti elencati apparentemente hanno subito reazioni gravi, il che indica che si trattava davvero di un esperimento che si intrometteva a terra non prima di essere viaggiato.

I risultati non si sono fatti attendere. "... Quattordici dei più grandi campi di addestramento avevano segnalato focolai di influenza in marzo, aprile o maggio, e alcune delle truppe infette portarono con sé il virus a bordo delle navi in ​​Francia ... Quando i soldati nelle trincee si ammalarono, i militari li evacuarono dal prima linea e li ha sostituiti con uomini sani. Questo processo portava continuamente il virus a contatto con nuovi ospiti: soldati giovani e sani in cui poteva adattarsi, riprodursi e diventare estremamente virulento senza pericolo di esaurirsi.

… Prima che qualsiasi divieto di viaggio potesse essere imposto, un contingente di truppe sostitutive partì da Camp Devens (fuori Boston) per Camp Upton, Long Island, punto di sbarco dell'esercito per la Francia, e prese l'influenza con loro. Gli ufficiali medici di Upton dissero che arrivò "all'improvviso" il 13 settembre 1918, con 38 ricoveri ospedalieri, seguiti da 86 il giorno successivo e 193 il giorno successivo. I ricoveri ospedalieri hanno raggiunto il picco il 4 ottobre con 483 ed entro 40 giorni, Camp Upton ha inviato 6.131 uomini in ospedale per l'influenza. Alcuni hanno sviluppato una polmonite così rapidamente che i medici l'hanno diagnosticata semplicemente osservando il paziente piuttosto che ascoltando i polmoni ... "[9]

Direi qui che tutte le indicazioni sono che questo evento è stato accidentale. Potrebbero esserci state hybris e fantasie "divine" al Rockefeller Institute, ma non sono in grado di fare accuse del genere. Da tutto ciò che ho visto nella ricerca su questo argomento e, sebbene non posso parlare per Rockefeller, l'esercito americano sembra essersi avvicinato a questo con sincerità, buone intenzioni e grandi speranze di scongiurare infezioni da meningite nelle loro truppe. Ho citato sopra l'articolo del dottor Gates scritto nel 1918 e l'ho studiato ripetutamente. Da quelle letture, non riconosco alcun accenno di inganno o insabbiamento, nessuna incoscienza, nessun disprezzo per le vite dei soldati e nessun tentativo (come vediamo oggi con i vaccini) per minimizzare o scartare i pericoli delle reazioni avverse. L'intero tono del suo articolo è quello di un ufficiale medico intelligente ed istruito che documenta sinceramente la situazione di un pericoloso agente patogeno e i suoi sforzi per eliminarlo. È attento nelle sue dichiarazioni, documenta la cura nel somministrare dosi minori e crescenti del vaccino e monitorarne gli effetti in ogni fase. Da tutto quello che ho imparato, non ho potuto trovare difetti nei confronti dell'esercito americano in questo "esperimento", tranne forse il fatto che si trattava di un esperimento. Le colpe, il disprezzo, gli insabbiamenti e l'inganno sono arrivati ​​dopo. Non ho potuto trovare alcuna colpa con l'esercito americano in questo "esperimento", tranne forse il fatto che si trattava di un esperimento. Le colpe, il disprezzo, gli insabbiamenti e l'inganno sono arrivati ​​dopo. Non ho potuto trovare alcuna colpa con l'esercito americano in questo "esperimento", tranne forse il fatto che si trattava di un esperimento. Le colpe, il disprezzo, gli insabbiamenti e l'inganno sono arrivati ​​dopo.

La mia lettura delle conseguenze è che sia il Rockefeller Institute che l'esercito americano (dopo aver condotto le loro migliaia di autopsie) si sono pienamente resi conto di ciò che era accaduto e, in termini umanamente comprensibili di fronte alla calamità che avevano inavvertitamente scatenato, hanno deciso il più prudente Ovviamente era seppellire la verità piuttosto che affrontare le recriminazioni di un mondo già stanco della guerra. Non dimentichiamo che questa pandemia ha ucciso più persone della guerra stessa, con un margine molto ampio. In quella situazione, cosa faresti? Riesci a vedere i titoli del NYT e del London Times, leggendo "Whoops!". Credo che questa pandemia sia diventata "influenza" e "spagnola" perché ha mascherato sia l'origine che l'agente patogeno stesso, guidando l'opinione pubblica mondiale in direzioni sbagliate e incolpando tutto sulla natura. Ma forse dopo più di 100 anni è tempo che gli Stati Uniti diano prova di coraggio e integrità e dicano la verità. Dopo tutto c'è una prima volta per tutto.

Gli inevitabili "Coolies cinesi"

C'è un altro aspetto che deve essere menzionato: il tentativo di alcuni individui di attribuire la colpa di questo evento alla Cina. L'accusa in sé è troppo stupida per giustificare la confutazione, ma la tratterò brevemente perché è un elemento di un'ampia categoria della storia che richiede una rivelazione pubblica: quella del commercio di schiavi ebraici.

Il collegamento con questo argomento alla pandemia del 1918 è la teoria promulgata per la prima volta da uno storico canadese di nome Mark Humphries della Memorial University of Newfoundland canadese, il quale scrisse che i documenti appena scoperti confermano che una delle storie secondarie della guerra: la mobilitazione di 96.000 lavoratori cinesi lavorare dietro le linee britanniche e francesi sul fronte occidentale della prima guerra mondiale - potrebbe essere stata la fonte della pandemia. Mentre Humphries riconosce che la sua ipotesi è in attesa di conferma, il National Geographic non ha potuto aspettare e, in un articolo scritto da Dan Vergano - ha pubblicato l'accusa come "il più vicino possibile a una pistola fumante come uno storico potrebbe ottenere".

Mentre Humphries riconosce che la sua ipotesi è in attesa di conferma, il National Geographic non ha potuto aspettare e, in un articolo scritto da Dan Vergano - ha pubblicato l'accusa come "il più vicino possibile a una pistola fumante come uno storico potrebbe ottenere".

Non sarebbe poi così male, ma questo è solo l'1% dell'immagine di "operai" cinesi che lavorano "dietro le righe" nei posti più strani del mondo. Va detto che gli ebrei internazionali responsabili del secolo dell'oppio in Cina - Rothschild, Sassoon, Kadoorie, Hardoon e molti altri, furono anche responsabili del rapimento e del trasporto come schiavi di milioni di cinesi dal Fujian e dal Guangdong per almeno 150 anni - il motivo per cui abbiamo cinesi in tutto il mondo.

Pochi sanno che il Canale di Panama è stato costruito principalmente da schiavi cinesi rapiti da commercianti di schiavi ebrei e spediti in America Centrale. Questo è il motivo per cui ancora oggi più del 10% della popolazione di Panama è cinese. Lo stesso valeva per la Great Panama Railroad, documentata in modo interessante da racconti secondo cui dopo il completamento tutti i cinesi si suicidarono. La storia era che una volta che la ferrovia fu costruita, i "lavoratori" cinesi iniziarono a fumare oppio e tutti si uccisero, alcuni apparentemente tagliandosi la testa. Come direbbe James Bond, "Beh, questo è un bel trucco". Vorrei sottolineare che i sintomi del fumo di oppio sono pacifici, non violenti, e nessuno rischia di tagliarsi la testa, impalare quelle stesse teste su una punta o impiccarsi con i propri capelli.

Era lo stesso con le ferrovie sia in Canada che negli Stati Uniti, dove (come con la banca HSBC) i nomi erano scozzesi ma i soldi erano tutti ebrei, e innumerevoli migliaia di cinesi furono rapiti e inviati in Nord America per costruire i loro amici ebrei, dopodiché la maggior parte fu massacrata.

Il collegamento con la pandemia del 1918 sono i circa 150.000 "lavoratori" cinesi che "volontariamente" si sono recati dallo Shandong in Europa per assistere nello sforzo bellico. Questo di per sé è ridicolo. I cinesi nello Shandong avevano già abbastanza problemi con gli ebrei che vendevano oppio ei giapponesi che divoravano il loro paese per preoccuparsi di qualche stupida guerra in mezzo al mondo. Quello che è successo è stato che gli ebrei internazionali si erano infiltrati così a fondo in Cina da controllare Chiang Kai-Shek e, cosa più importante, la TV Soong istruita ad Harvard e, dopo aver stabilito una banca centrale di proprietà dei Rothschild, stavano saccheggiando ogni centesimo dalla Cina. . In mezzo a tutto questo, e con la guerra ormai diventata realtà, convinsero Chiang e Soong a rapire ancora più cinesi da usare come schiavi e carne da cannone per la loro guerra in Europa.

Furono inviati prima in Canada, trasportati attraverso il paese fino all'Atlantico, poi spediti in Europa dove morirono quasi tutti. Questo è il problema. Gli “storici” (principalmente ebrei) hanno improvvisamente scoperto che i cinesi spediti in Canada e in Europa sono arrivati ​​non solo con i bagagli ma con l '“influenza spagnola”, pronti a contagiare il mondo. Le prove documentate sono ovviamente inesistenti, ma i romanzi storici ebraici raramente si basano su prove. Uno storico ebreo ci dice che all'epoca la Cina soffriva di qualcosa che "doveva essere" l'influenza spagnola, con almeno 150 miglia lungo la Grande Muraglia che soffrivano di questa infezione. Beh, Pechino è come ogni altro clima freddo del mondo in quanto in inverno troveremo raffreddori e influenza, quindi niente di speciale qui. Ma quello che avevamo in realtà era un cinese al miglio zero,

La parte successiva ci dice che quando i cinesi “infetti” erano in Canada in attesa di essere trasportati in Europa, erano ospitati in campi di internamento “circondati da filo spinato”. Ancora peggio, mentre sugli 8.000 Km. viaggio in treno attraverso il Canada, le loro carrozze sono state chiuse per proteggerli dal "sentimento anti-cinese". Che carino. Sarebbe come il selvaggio West americano, dove bande di predoni canadesi sarebbero montate a cavallo e inseguivano i treni in modo da poterli montare e picchiare gli odiati passeggeri cinesi? Non esisteva alcun sentimento anti-cinese per giustificare misure così oltraggiose. I cinesi erano davvero in carrozze chiuse, e per lo stesso motivo erano in campi di internamento con filo spinato, quindi gli schiavi ingrati rapiti non potevano scappare.

La teoria è ulteriormente arricchita che molti dei cinesi rapiti erano malati, convenientemente con l'influenza spagnola, e quindi l'hanno portato dalla Grande Muraglia in Europa. Nessuna indicazione su come sia migrato a Fort Riley. E, naturalmente, il motivo per cui l'influenza spagnola non ha colpito la Cina era perché tutti i cinesi erano già stati infettati ed erano immuni. Sono sempre stato un fan della fantascienza, ma mi viene in mente che la narrativa medica potrebbe essere ancora più eccitante.

Ci sono così tanti sforzi oggi per attribuire l '"influenza spagnola" ai cinesi - da parte degli storici ebrei - quanto anche per attribuire la peste bubbonica europea ai cinesi - dagli stessi storici ebrei. Questo deve davvero finire e il metodo migliore è nominare e identificare tutti i responsabili. Forse è finalmente arrivato il momento che il mondo conosca la verità di moltissime cose.

Gli scritti di Romanoff sono stati tradotti in 28 lingue ei suoi articoli sono stati pubblicati su oltre 150 siti web di notizie e politica in lingua straniera in più di 30 paesi, oltre a più di 100 piattaforme in lingua inglese. Larry Romanoff è un consulente aziendale in pensione e un uomo d'affari. Ha ricoperto posizioni dirigenziali senior in società di consulenza internazionali e possedeva un'attività di import-export internazionale. È stato professore in visita presso l'Università Fudan di Shanghai, presentando casi di studio in affari internazionali a classi EMBA senior. Il signor Romanoff vive a Shanghai e attualmente sta scrivendo una serie di dieci libri generalmente legati alla Cina e all'Occidente. È uno degli autori che contribuiscono alla nuova antologia di Cynthia McKinney "When China Sneezes". Il suo archivio completo può essere visto su https://www.moonofshanghai.com/http://www.bluemoonofshanghai.com/ Può essere contattato a: 2186604556@qq.com.

FONTE

E vogliamo parlare dei vaccini anti polio? 

Ne so qualcosa. Mi sono fatta una settimana di isolamento con mia madre da piccola, subito dopo aver fatto il vaccino Sabin la febbre è salita a 42 e mezzo, meningite da vaccino è stata la diagnosi. Non ho fortunatamente avuto nessuna conseguenza, ma è successo e grazie al cielo sono qui, ora per raccontarlo. È stato l'ultimo vaccino fatto. 

Ma vediamo i fatti che pochi sanno riguardo alle vaccinazioni anti polio:

La storia della vaccinazione contro il virus della polio indica che distorcendo cifre e osservazioni i ricercatori hanno deliberatamente camuffato un evidente nesso causale fra vaccini somministrati e paralisi.



I fautori delle vaccinazioni rivendicano di aver estirpato tramite i vaccini due patologie: vaiolo e poliomielite. Il problema è che tale rivendicazione non corrisponde al vero in ambedue i casi, nondimeno sono in molti a crederci. Nel presente articolo prenderò in esame le epidemie di poliomielite paralitica insorte subito dopo i programmi di vaccinazione di massa nei paesi industrializzati e in quelli in via di sviluppo, secondo quanto pubblicato sulle riviste mediche ortodosse.
Quando, nel biennio 1954-55, il primo vaccino antipolio iniettabile di Salk venne testato negli USA su circa 1.8 milioni di bambini, nel volgere di alcuni giorni iniziarono a verificarsi casi di paralisi che colpirono i vaccinati e alcune delle persone a loro contatto (Francis et al., 1955; Peterson et al., 1955), fenomeno divenuto noto come Cutter Incident. I Cutter Laboratories furono accusati di distribuire vaccini contenenti poliovirus vivi. Pur se casi di paralisi si verificarono anche a seguito dell’iniezione di altri vaccini antipolio realizzati da altri produttori, i Cutter Laboratories divennero il capro espiatorio e venne loro intimato di ritirare tutti i lotti dei loro vaccini.

A quanto pare i disastri provocati dai vaccini antipolio iniettabili, causa di paralisi, costituirono una delle ragioni principali a monte dello sviluppo di un vaccino orale (OPV) contro il poliovirus, ritenuto lo stimolo dell’infezione naturale. La realtà ha dimostrato l’erroneità di tali aspettative.

Henderson et al. (1964) hanno scritto che dal 1961, quando per la prima volta negli USA si resero disponibili a livello di massa i vaccini orali contro la poliomielite, in associazione a tali vaccini si sono verificati casi sporadici di malattia paralitica, molti dei quali clinicamente indistinguibili dalla poliomielite paralitica; sul piano epidemiologico, lo schema della casistica ha ventilato la possibilità che alcuni di tali casi possano essere stati provocati dai vaccini. Nel 1962, quando si riconobbe per la prima volta l’esistenza del problema, il Direttore Federale Generale del Servizio Sanitario Pubblico convocò una Commissione di Consulenza Speciale la quale, fra agosto e dicembre, si riunì in svariate occasioni. La commissione esaminò con cura i casi riportati di malattia paralitica insorta entro 30 giorni dall’ingestione del vaccino antipolio orale; di questi, 11 seguirono al “vaccino di tipo III” e 7 al “vaccino di tipo I”. La commissione trasse la conclusione che

“il rischio potenziale massimo per i vaccini di tipo I e III rientra nell’ordine di uno su un milione o meno a livello complessivo; risulta tuttavia più elevato per i soggetti  di età superiore ai 30 anni”.

Ora sappiamo in che modo ha avuto origine il tanto citato tasso di casi provocati da vaccino, pari a “uno su un milione o meno a livello complessivo”: venne creato da una commissione come una tipica statistica ricavata a tavolino e non conseguito tramite un adeguato studio statistico (il proverbiale cammello creato dalle decisioni di una commissione adibita a progettare un cavallo. Chiedo venia ai cammelli; stavo scherzando! [derivato da un proverbio anglosassone, ndt]).

Aspetto importante, il poliovirus di tipo III era quello maggiormente implicato. La commissione inoltre asserì quanto segue:

“Il numero complessivo di tali rapporti [vale a dire paralisi seguita a somministrazione di OPV] ricevuti dal Servizio Sanitario Pubblico all’indomani del mese di giugno 1964 ammonta a 123, cifra che comprende i casi esaminati dalla Commissione nel 1962. Del totale, 36 casi si sono verificati in aree epidemiche in cui i programmi di immunizzazione di massa sono stati intrapresi come misure di controllo di emergenza. Gli 87 casi restanti erano ampiamente sparpagliati e si sono presentati in aree non epidemiche, solitamente a seguito di programmi con vaccini orali contro la poliomielite effettuati a livello di comunità.”

Stento a credere che in un paese con 220 milioni di abitanti e 2.5 milioni di nuovi nati all’anno si siano verificati soltanto circa 200 casi di paralisi. Anche se corrispondesse al vero, tale cifra risulterebbe comunque superiore al tanto citato “caso su un milione”.
In virtù della costante incidenza dei casi associati ai vaccini, il Direttore Federale Generale del Servizio Sanitario Pubblico convocò una commissione allo scopo di valutare nuovamente il problema e formulare raccomandazioni per il futuro impiego di vaccini orali contro la poliomielite. La commissione si riunì in data 17 e 18 luglio 1965 e, per quanto riguardava la diagnosi di poliomielite, espresse le seguenti raccomandazioni:

“1. Insorgenza della malattia nel periodo compreso fra il quarto e il trentesimo giorno successivi alla somministrazione dello specifico vaccino in questione, con insorgenza della paralisi non prima di sei giorni dopo la somministrazione.

“2. Significativa paralisi residua del motoneurone inferiore;

“3. Dati di laboratorio non incoerenti rispetto alla moltiplicazione del virus del vaccino somministrato;

“4. Nessun riscontro di malattia del motoneurone superiore, definita perdita sensoriale o progressione o ricorrenza di malattia paralitica a distanza di un mese o più dopo l’insorgenza.”

Degli 87 casi presi in considerazione, 57 vennero giudicati “compatibili” e 21 esclusi dopo accurata valutazione; in 9 dei casi si ritenne che i dati utili alla valutazione fossero insufficienti. I casi “compatibili” riguardavano in gran parte adulti, 44 inerenti a soggetti di età pari o superiore ai 15 anni e 8 inerenti a soggetti di età superiore ai 50 anni. L’insorgenza della malattia ebbe luogo fra 4 e 28 giorni dopo la somministrazione del vaccino, nella maggior parte dei casi fra l’ottavo e il ventunesimo giorno. Non si manifestò alcuna evidente associazione fra casi e vaccini o specifici lotti di vaccino realizzati da uno specifico produttore.
Mi risulta ovvio che la motivazione principale della commissione fosse escludere quanto più possibile casi di paralisi associati alla vaccinazione. Non vi fu alcun cruccio per coloro che avevano ricevuto vaccini antipolio, i quali vennero congedati e abbandonati a sé stessi. Un atteggiamento di stile davvero medievale, feudale e a dir poco non scientifico!
Alla voce “Valutazione del rischio”, la commissione scrisse di

riconoscere che non è possibile che ciascun singolo caso sia stato causato dal vaccino e che nessun test di laboratorio disponibile è in grado di fornire una risposta definitiva”.

La commissione giunse peraltro ad affermare quanto segue:

“1. In relazione al rischio di patologia a insorgenza naturale nei bambini, l’entità del rischio associato è sufficientemente bassa da giustificare la prosecuzione e l’intensificazione del programma di immunizzazione contro la poliomielite a livello nazionale, pur ponendo in risalto alcune modifiche;

“2. Presso tutte le comunità si dovrebbe conferire primaria importanza all’immunizzazione di tutti gli infanti nel primo anno di vita. Tutte le comunità che non hanno ancora predisposto programmi continuativi per un’efficace immunizzazione dei rispettivi infanti e bambini in età prescolare di tutti i gruppi socioeconomici sono esortate a provvedere in tal senso. (Il successo di tali programmi è il requisito per conseguire lo scopo di eliminare la poliomielite paralitica, in quanto sono principalmente questi bambini in tenera età a trasmettere l’infezione naturale all’interno della comunità.)

“3. Le comunità che non hanno ancora intrapreso programmi di immunizzazione di massa sono esortate a farlo nel corso del prossimo autunno-inverno (1964-65). (Tali programmi avranno validità solo se riusciranno a raggiungere soggetti non immunizzati, in particolare bambini in età prescolare, presso aree socioeconomiche disagiate. Prima di intraprendere programmi di massa, tutte le comunità dovrebbero elaborare piani per programmi di immunizzazione continuativi per nuovi soggetti predisposti alla malattia nati o in arrivo all’interno della comunità.)”

Le dichiarazioni e le conclusioni dei paragrafi di cui sopra hanno rilevanza in quanto hanno inaugurato la valanga di smentite sul nesso causale fra la somministrazione documentata dei vaccini ‘incriminati’ e i sintomi risultanti (paralisi) – il che, a mio avviso, sfida il buon senso. Anche se il fatto che i metodi in uso negli anni Sessanta forse non erano sufficienti a dimostrare il nesso causale potrebbe in parte corrispondere al vero, i metodi e i criteri palesemente viziati per riconoscere la causalità si svilupparono di lì a poco. Per di più, in innumerevoli paesi i reiterati e documentati focolai epidemici di polio entro trenta giorni dalle tornate di vaccinazioni basta a evidenziare che i vaccini antipolio di tutti i tipi (OPV, IPV) determinano di fatto rilevanti epidemie di poliomielite paralitica, successive alle tornate di vaccinazioni, in aree da numerosi anni del tutto esenti da casi di polio.

Lo sviluppo più importante fu la pubblicazione del documento di Bradford Hill, anno 1965, in cui l’estensore definiva nove punti da soddisfare per riconoscere la causalità. Tutti i focolai epidemici di polio documentati successivi a tornate di vaccinazione soddisfano i nove punti in questione. Altrettanto vale per focolai di altre malattie infettive nei soggetti vaccinati.
Vale la pena di notare che i fautori delle vaccinazioni disapprovano coloro i quali, me compresa, studiano significativi documenti medici pubblicati prima degli anni Novanta, cercando comunque di scartare tali articoli in quanto automaticamente obsoleti ma che, come dimostrano le informazioni pubblicate sopra, risultano assai rilevanti per l’attuale situazione nell’ambito delle vaccinazioni. Gli stessi fautori delle vaccinazioni agiscono ancora in base a informazioni obsolete come quelle delineate in precedenza (nonostante il fatto di praticare la vaccinazione Jenneriana) e continuano a negare la possibilità di dimostrare la causalità e/o che le gravi reazioni ai vaccini rientrino nell’ordine di una su un milione. Indubbiamente dagli anni Sessanta i metodi diagnostici della medicina moderna hanno fatto progressi – o no? Grazie ai moderni metodi statistici è possibile calcolare i tassi con maggiore precisione.

Analoga “argomentazione” si applica alle costanti asserzioni dei fautori delle vaccinazioni secondo cui non esistono metodi di trattamento noti utili a far fronte a malattie infettive dell’infanzia e, di conseguenza, questo è il motivo per cui dobbiamo continuare a fare prevenzione tramite la vaccinazione. Costoro trascurano del tutto la ovvia e documentata inefficacia dei vaccini nella prevenzione di qualsiasi patologia, nonché l’infinito strascico di disastri e gravissime malattie immuni, autoimmuni e degenerative create nel procedimento dalla medicina moderna, che dai vaccini trae profitti nell’ordine dei miliardi di dollari.
A tal riguardo concordo comunque su un aspetto: solo la medicina moderna convenzionale non sa come trattare – o, meglio, gestire – correttamente ed efficacemente le malattie infettive o, quanto a questo, qualsiasi altra malattia. Costoro “trattano” qualsiasi cosa con antibiotici, antipiretici e antidolorifici, a dispetto della palese inefficacia, dell’inadeguatezza e dei pericoli di questi farmaci e senza alcun riguardo per l’individualità.


Sopra: Jonas Salk, inventore del vaccino antipolio che porta il suo nome


Focolai epidemici di paralisi durante i programmi di vaccinazione di massa negli USA

Oltre al famigerato Cutter Incident descritto in precedenza, negli USA continuarono a presentarsi focolai epidemici di paralisi.
Nathanson (1984) ha presentato aspetti epidemiologici dell’eliminazione della poliomielite, scrivendo che negli USA la vaccinazione di massa con vaccino antipolio orale venne avviata nel 1963 e l’ultima epidemia di poliomielite naturale si verificò nel 1972. L’autore ha quindi affermato che vi fu una sola altra epidemia, nel 1979, dovuta all’introduzione di un poliovirus selvaggio presso una popolazione Amish di per sé scarsamente vaccinata.

“Paradossalmente, l’eliminazione avvenne anche se il 5-10% della popolazione di età compresa fra zero e un anno risultava non vaccinata e predisposta.”

In primo luogo, tale affermazione è inesatta, in quanto nemmeno il 5-10% degli Amish nel loro complesso sono vaccinati (rivendicano l’esenzione dalla vaccinazione per questioni religiose). In secondo luogo, il primo caso di polio paralitica verificatosi riguardava un bimbo Amish di nove mesi rimasto paralizzato cinque giorni dopo la somministrazione di una dose di OPV. Anche se le autorità sanitarie statunitensi aprirono un ambulatorio adibito alle vaccinazioni, gli Amish evitarono di recarvisi; estirparono il focolaio dandogli ‘libertà d’azione’ e lasciando che si estinguesse da sé. Questo è esattamente quanto accaduto. In fin dei conti, tutte le epidemie sono auto-limitanti.
MMWR (1993) riferì l’insorgenza di 68 casi di poliomielite presso membri di comunità religiose in Olanda. Dato che i membri di una comunità religiosa affiliata di stanza in Alberta, Canada, avevano contatti diretti (vale a dire viaggi di andata e ritorno dall’Olanda) con membri della comunità colpita dall’infezione, nel bimestre gennaio-febbraio 1993 le autorità sanitarie dell’Alberta condussero un’indagine onde determinare se il poliovirus fosse stato importato. L’indagine si concentrò su una piccola comunità rurale dell’Alberta meridionale, la quale riportò gli unici casi di poliomielite della provincia nel corso dell’ultima epidemia di tale patologia verificatasi in Canada nel 1978 (11 casi). L’autore del rapporto in questione ha scritto:

“La comunità comprende membri di [un] gruppo religioso che in linea generale si oppone alla vaccinazione.”

Curiosamente, secondo il rapporto di MMWR:

“...poliovirus selvaggio di tipo 3 (PV3) è stato isolato da campioni di feci ottenute da 21 (47%) individui su 45 (principalmente bambini). Accertamenti di laboratorio condotti dal National Center for Enteroviruses di Halifax, comprendenti l’impiego di una tecnica molecolare in collaborazione con laboratori del CDC [Center for Diseases Control], hanno stabilito che il PV3 in questione era virtualmente identico al ceppo che ha provocato l’epidemia in Olanda.”

Forse le informazioni maggiormente indicative sono state presentate inconsapevolmente in un articolo di Schonberger et al. (1984). La loro figura 1 illustra i tassi dei casi riportati di poliomielite paralitica su base annua negli USA durante il periodo 1951-1982. Il grafico indica un costante calo dell’incidenza di poliomielite paralitica sino al 1974-75, quando è salita di colpo del triplo rimanendo elevata (con leggere fluttuazioni) sino al 1979; quindi a quanto risulta l’incidenza è calata nuovamente al livello del 1974.
Il grafico in questione è praticamente identico ai grafici sull’incidenza di pertosse pubblicati da Hutchins et al. (1988), i quali indicano una costante tendenza alla diminuzione dell’incidenza della patologia (e della mortalità derivata) sino al 1976, quando l’incidenza salì anch’essa di colpo del triplo. Tale fenomeno coincise con la “iniziativa nazionale di immunizzazione dei bambini”, allorquando singoli stati stavano gradualmente approvando una legge che prevedeva tre dosi di vaccino DTP (difterite-tetano-pertosse) e OPV come requisito per l’ammissione a scuola, un’iniziativa legislativa indubbiamente preceduta da una campagna pubblicitaria preventiva e accompagnata da una intensificata attività di vaccinazione. Palesemente l’incidenza di pertosse e polio aumentò del triplo quando le vaccinazioni divennero virtualmente obbligatorie. Considero tale fenomeno la dimostrazione evidente che le vaccinazioni fecero contrarre ai riceventi le malattie che si presumeva i vaccini dovessero prevenire.


Sopra: campagna per la vaccinazione antipolio negli Stati Uniti d'America nel 1954


Epidemia di poliomielite paralitica a Taiwan

Kim Farley et al. (1984) hanno descritto un’epidemia di casi di poliomielite (1.031) verificatisi fra il 29 maggio e il 31 ottobre del 1982, dopo sette anni di assenza di epidemie di rilevante portata. Già all’indomani del 1° settembre l’epidemia era diventata una delle più estese mai riportate nella storia di Taiwan. Aspetto importante, prima di essa a circa l’80 per cento degli infanti erano state somministrate almeno due dosi di vaccino antipolio orale trivalente entro il compimento del primo anno di età. Dato che l’epidemia ebbe luogo a dispetto di elevati livelli di vaccinazione di massa, al CDC (Atlanta, Georgia, USA) venne richiesto di contribuire a determinare la portata e la motivazione del fenomeno, nonché se l’OPV fosse un efficace agente di protezione. (Senza alcun dubbio l’epidemia scatenò ondate di panico nel campo dei fautori delle vaccinazioni – in particolar modo poiché venne riconosciuta apertamente né la si poteva nascondere ‘sotto il tappeto’.)

Kim Farley e colleghi hanno scritto che alla fine del 1980 la popolazione complessiva di Taiwan ammontava a 18 milioni di individui, con all’incirca 400.000 nascite all’anno; i soggetti di età inferiore ai cinque anni costituivano l’undici per cento della popolazione.
A Taiwan la polio fu riportata per la prima volta nel 1913 e nel 1955 divenne una patologia da denunciare alle autorità sanitarie. L’introduzione del vaccino antipolio inattivato (IPV) avvenne nel 1958, mentre nel 1963 fu la volta dell’OPV. All’epoca dell’epidemia del 1982 la vaccinazione di routine a Taipei e Kao-Hsiung (le due principali città di Taiwan) consisteva in un programma comprendente tre dosi di OPV entro il compimento del primo anno di età; inoltre si raccomandava una dose supplementare verso il diciottesimo mese.
Dal 1975 al 1981 alle autorità sanitarie di Taiwan furono denunciati non più di nove casi di poliomielite paralitica all’anno; dopo il 1978 non si registrarono decessi da poliomielite.
I casi di polio erano definiti come poliomielite paralitica diagnosticata da medici. Lo status di vaccinazione dei casi venne determinato in base alle informazioni ricavate dai rapporti inerenti e, aspetto importante, “[v]accinazioni ricevute nei 28 giorni antecedenti l’insorgenza non venivano conteggiate in quanto potenzialmente somministrate dopo l’esposizione”. Queste rappresentavano il 65 per cento dei casi, i quali di conseguenza vennero per la maggior parte esclusi in quanto provocati dal vaccino.
Ormai è accertato che i casi di paralisi derivata da vaccino si verificano in massima parte dopo la prima dose di qualsiasi vaccino antipolio. Il fatto di contrassegnare come “non vaccinati” i casi di paralisi di coloro che hanno ricevuto la prima dose di vaccino entro i 28 giorni antecedenti l’insorgenza costituisce non solo una frode – senza dubbio destinata a “perfezionare” l’efficacia del vaccino – ma contraddice la definizione di paralisi associata a vaccino determinata dalla Commissione di Consulenza Speciale statunitense (un caso che si verificò entro 30 giorni dalla dose di vaccino; Henderson et al., 1964, come sopra).
L’incontestabile realtà di quanto accaduto a Taiwan è che il 65 per cento dei vaccinati contrasse la paralisi entro 28 giorni dalla prima dose di vaccino, confermando in tal modo le osservazioni di altri secondo cui per la maggior parte la paralisi provocata da vaccino si verifica dopo la prima dose di qualsiasi vaccino; quello antipolio non fa eccezione. Ad ogni modo, tale tasso è stato calcolato in base alla popolazione complessiva, sebbene la definizione di polio sia “paralisi infantile”; sarebbe stato doveroso calcolarlo in base al numero di bambini appartenenti ai gruppi di età pertinenti.
Per di più, dato che nei sette anni antecedenti all’epidemia del 1982 a Taiwan non si erano presentati focolai epidemici di polio, risulta improbabile che tutti coloro che svilupparono la paralisi entro 28 giorni dal primo vaccino stessero già incubando la malattia. Oltre a questo, meno del sette per cento della popolazione ‘sondata’ non aveva ricevuto OPV.

Analogamente viziata è la conclusione degli autori secondo cui il più importante fattore di rischio dell’epidemia di polio a Taiwan fu la mancata vaccinazione e non il fallimento del vaccino.
Quel che mi fa rabbrividire è la disinvoltura con cui i fautori delle vaccinazioni la passano liscia dopo un’analisi palesemente fraudolenta dell’epidemia di paralisi indotta da vaccino. Al contempo, elogio gli autori e Lancet per averla pubblicata in una forma tale da consentire a qualsiasi lettore accorto di vedere attraverso la cortina fumogena e il gioco di specchi. John (1985) ha scritto: “La spiegazione addotta – vale a dire, sacche di scarsa copertura di vaccinazione che favoriscono la trasmissione del poliovirus e alimentano un’epidemia (5.8 casi su 100.000) – era poco convincente. I casi non si sono raggruppati in sacche e, dato che il tasso di copertura media era assai elevato, sacche di scarsa copertura sarebbero risultate infrequenti... Taipei e Kao-Hsiung presentavano un’elevata incidenza nonostante migliori attività di vaccinazione.”

 

Epidemia in Oman

Virtualmente il medesimo fenomeno descritto a Taiwan è accaduto in Oman. Sutter et al. (1991) e Sutter et al. (1992) hanno descritto un’epidemia di poliomielite paralitica di tipo I (118 casi) fra gennaio 1988 e marzo 1989. Costoro hanno scritto:

“L’incidenza della poliomielite è risultata più elevata nei bambini di età inferiore ai due anni (87/100.000), nonostante un programma di immunizzazione che di recente aveva innalzato dal 67% all’87% la copertura con tre dosi di vaccino orale contro il poliovirus (OPV) presso la popolazione infantile di 12 mesi di età.”

Nonostante?

In Oman l’87 per cento dei pazienti interessati dalla patologia aveva ricevuto almeno una dose di OPV e il 50 per cento almeno tre dosi. Gli autori hanno scritto:

“L’accumulo di un numero di bambini sufficiente a sostenere l’epidemia sembra sia dovuto al precedente successo del programma di immunizzazione nella riduzione dei ceppi endemici, all’efficacia sub-ottimale dell’OPV nonché al ritardo nel completamento della serie primaria di immunizzazione sino ai sette mesi di età. Per di più, in alcune regioni il tasso stimato di virulenza dell’infezione fra i bambini di età compresa fra i 9 e 23 mesi ha superato il 25%, a indicare che una consistente percentuale di bambini sottoposti a vaccinazione completa era stata coinvolta nella catena di trasmissione.”

L’affermazione che “tre dosi di OPV hanno ridotto del 91% il rischio di paralisi” è poco seria: se i casi si verificano in massima parte dopo il primo vaccino, allora rimarranno meno soggetti vaccinati a sviluppare la paralisi dopo la seconda dose, e ancor meno dopo la terza dose.
Pur sostenendo che “il diffuso impiego di vaccino orale contro il poliovirus (OPV) ha determinato la virtuale eliminazione della poliomielite paralitica nei paesi industrializzati, oltre a una sostanziale riduzione dell’incidenza della malattia nei paesi in via di sviluppo”, gli autori hanno peraltro affermato:

“Ad ogni modo, in alcuni paesi l’efficacia dell’OPV nell’indurre immunità umorale contro il poliovirus di tipo 1 e 3 è risultata inferiore alle aspettative. Recenti epidemie in Gambia, Brasile e Taiwan hanno indotto il timore che il primario assegnamento sull’immunizzazione di routine possa rivelarsi inadeguato per conseguire l’obiettivo di estirpare a livello globale entro il 2000 l’infezione da poliovirus selvaggio.”

Gli autori hanno peraltro scritto:

“...all’epoca dell’epidemia la copertura con tre dosi di vaccino orale contro il poliovirus (OPV) presso la popolazione infantile di 12 mesi di età era pari all’87%. In base al numero di casi riportati, il tasso complessivo di attacco della malattia paralitica fra i bambini di età compresa fra i 9 e 23 mesi era 57/100.000. Non vi è stata correlazione su base regionale fra la copertura della vaccinazione e il tasso di attacco; la regione con l’allora più elevato tasso di attacco (Batinah, 117/100.000) presentava uno dei più elevati tassi di copertura (88%), laddove la regione con minore copertura (Capital, 71%) presentava un tasso di attacco basso.”

Nessuna correlazione? In realtà vi è stata una correlazione perfetta, indicante che i vaccini hanno provocato l’epidemia, che la più elevata incidenza di paralisi si verificava in concomitanza con la maggiore ottemperanza ai programmi di vaccinazione.
Sutter et al. (1991) hanno inoltre scritto:

“Fra le caratteristiche maggiormente inquietanti dell’epidemia [di poliomielite paralitica in Oman] vi era il fatto che si è presentata a fronte di un programma di immunizzazione modello e che la trasmissione si è diffusa presso una popolazione sparpagliata, prevalentemente insediamenti rurali. I vaccinatori si erano recati presso comunità scarsamente popolate.

Nel corso di un’indagine su un’epidemia di poliomielite in Oman, Sutter et al. (1992) hanno riesaminato la documentazione relativa a 70 bambini affetti da poliomielite, di età compresa fra i 5 e i 24 mesi, e quella derivata da 692 bambini di controllo accoppiati.

“Rispetto ai controlli, la percentuale dei casi che hanno ricevuto un’iniezione di vaccino DTP entro 30 giorni dall’insorgenza della paralisi è risultata significativamente più elevata (42.9% vs 28.3%). Per i bambini di età compresa fra 5 e gli 11 mesi la percentuale dei casi di poliomielite potenzialmente provocati dalle iniezioni di DTP era pari al 35%.” Gli autori concludevano che il loro studio confermava che “...le iniezioni costituiscono una causa rilevante di poliomielite indotta. Anche se i benefici della vaccinazione DTP dovrebbero superare i rischi di paralisi successiva, questi dati sottolineano l’importanza di evitare iniezioni non necessarie durante le epidemie di infezione del poliovirus selvaggio.”

Il fatto è che precedenti somministrazioni di altri vaccini (come quelli contenenti un componente della pertosse) causa di paralisi indotta furono descritte negli anni Cinquanta (ad esempio, McCloskey, 1950). Quindi, la situazione in Oman era solo un altro esempio del fenomeno della paralisi indotta. Ad ogni modo, assai di frequente i programmi di vaccinazione di massa hanno trascurato questo importante fatto e continuato a provocare menomazioni e sofferenze a bambini di tutto il mondo. Un altro importante fatto risaputo è che la rilevante maggioranza (65 per cento) dei riceventi di qualsiasi vaccino di fatto vengono colpiti dalla malattia che si presume i vaccini prevengano, dopo la prima dose (Hedrich, 1933). Hedrich studiò per un trentennio le epidemie di morbillo nell’area di Baltimora (USA) e stabilì che quando il 63 per cento dei soggetti suscettibili si ammala di morbillo, un’epidemia finisce. Strebel et al. (1992) hanno scritto che la paralisi associata a vaccino nei riceventi di OPV solitamente insorge dopo la prima dose. In Oman (e altrove), i soggetti rimasti paralizzati dopo la prima dose sono stati semplicemente esclusi dai calcoli di efficacia in quanto non vaccinati, oppure le vaccinazioni in questione “non sono state conteggiate”.
Sutter et al. (1993) hanno pubblicato un articolo relativo a un’altra epidemia in Oman, successiva all’epidemia di polio post-vaccinazione del 1988-89. Per ovvie ragioni non mi è possibile citare l’intero articolo, quindi mi limito a evidenziare determinate frasi che rispecchiano la realtà osservata. Gli autori hanno scritto:

“L’indagine sull’epidemia ha indicato che la sua insorgenza era dovuta a svariati fattori, fra cui l’accumulo di bambini suscettibili alla poliomielite a causa della riduzione dei livelli di immunità complessiva derivante da esposizione a poliovirus selvaggio nel 1987-88, efficacia subottimale del vaccino antipolio orale trivalente (OPV), poliomielite indotta da antecedenti iniezioni di vaccino DTP e partecipazione di bambini integralmente vaccinati alla catena di trasmissione... Nel 1991 si verificarono in totale quattro casi verificati in laboratorio. I primi due casi si presentarono nel marzo 1991 nella regione di Batinah (bambini di 44 e 49 mesi di età), ambedue avevano ricevuto quattro dosi di OPV. Altri due casi (25 e 30 mesi di età), entrambi dopo 5 dosi di OPV, si verificarono ad agosto e ottobre dello stesso anno nelle attigue regioni interna e orientale. In tutti venne isolato il medesimo genotipo del poliovirus selvaggio di tipo 3.”

Gli autori traevano la conclusione che l’esperienza in Oman indica che l’uniforme adempimento dell’attuale strategia dell’OMS “potrebbe non rivelarsi sufficiente a interrompere la trasmissione” e che potrebbero necessitare svariate dosi supplementari di OPV per tutti i bambini. (Ovviamente, il non somministrare alcuna dose funzionerebbe.)

Epidemia di poliomielite paralitica in Romania

Secondo Strebel et al. (1994), anche se la poliomielite determinata da infezione di poliovirus selvaggio era virtualmente scomparsa dalla Romania, senza che fra il 1984 e il 1989 ne venisse registrato alcun caso, per oltre due decenni sono stati documentati tassi assai elevati di poliomielite paralitica associata a vaccini; nel novembre 1990, per diminuirne il rischio, si sostituì il vaccino orale contro il poliovirus prodotto in Romania con un vaccino orale realizzato da un produttore europeo occidentale. In Romania il rischio complessivo di paralisi associata a vaccino risultava 14 volte più elevato di quello “riportato” negli Stati Uniti. Ad ogni modo, in rapporto alla prima dose di vaccino orale i rischi – per il ricevente – di paralisi associata a vaccino erano simili tanto per i vaccini romeni quanto per quelli d’importazione.
Il termine “riportato” è cruciale in virtù della cronica ed endemica scarsa documentazione di tutte le “malattie prevenibili dai vaccini” seguita all’introduzione della vaccinazione di massa, il che di conseguenza ne migliora in apparenza l’efficacia e dissimula il rischio reale. Tutto ciò viene ulteriormente aggravato da una nuova definizione della malattia poliomielitica, introdotta dopo l’inizio delle vaccinazioni di massa risalente agli anni Cinquanta e Sessanta. La definizione classica di poliomielite è

“una malattia con paralisi residua che si risolve entro 60 giorni”;

la nuova definizione è

“una malattia con paralisi residua persistente per oltre 60 giorni”.

Dato che in meno dell’uno per cento dei casi si sviluppa una paralisi residua che persiste per oltre 60 giorni, la nuova definizione ha “eliminato” in quanto non poliomielite la grande maggioranza dei casi in cui la paralisi si risolveva entro 60 giorni.
Strebel et al. (1994) hanno scritto:

“I casi vengono confermati se sono conformi alla seguente definizione: patologia acuta caratterizzata da paralisi flaccida compatibile con la manifestazione clinica di poliomielite in fase acuta e deficit neurologico residuo 60 giorni (o successivamente) dopo l’insorgenza della paralisi.”

Inoltre, alcuni casi sono stati definiti “associati a vaccini” se non si presentavano riscontri diretti di infezione da poliovirus selvaggio e se esisteva una storia positiva di esposizione recente a vaccino orale contro il poliovirus.
Tale definizione è interessante, in quanto evidenzia il fatto che la paralisi indotta da vaccino ha acquisito un’assai considerevole rilevanza. Giusto nel caso in cui qualcuno pensi che la vaccinazione ha eliminato il poliovirus selvaggio nell’ambiente (come sostenuto dai vaccinatori), si tenga presente che le infezioni naturali di poliovirus selvaggio determinavano lo sviluppo di immunità naturale senza paralisi. Le epidemie di paralisi sono state direttamente connesse con la somministrazione di massa di una varietà di vaccini, a partire da quelli contro il vaiolo e proseguendo con difterite, tetano e, in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale, tutti gli altri. Si sono pubblicati numerosi articoli inerenti alla “poliomielite indotta”, vale a dire “provocata da precedenti iniezioni di una varietà di vaccini”.

Anche nel caso della Romania, Strebel et al. (1995) hanno descritto le iniezioni intramuscolari (IM) entro 30 giorni dall’immunizzazione con vaccini orali contro il poliovirus  come fattore di rischio della paralisi associata a vaccino. Secondo i loro scritti:

“Per ragioni inesplicate, in Romania il tasso di poliomielite paralitica associata a vaccini è da 5 a 17 volte più elevato rispetto ad altri paesi. Tempo addietro si notò che le iniezioni intramuscolari somministrate durante il periodo di incubazione dell’infezione di poliovirus di tipo selvaggio accrescevano il rischio di malattia paralitica (fenomeno noto come poliomielite ‘indotta’). Abbiamo condotto uno studio di tipo caso-controllo al fine di analizzare l’associazione fra iniezioni intramuscolari e poliomielite associata a vaccini in Romania.

“Dei 31 bambini affetti da patologia associata a vaccini, 27 (87 per cento) avevano ricevuto una o più iniezioni intramuscolari entro 30 giorni prima dell’insorgenza della paralisi, rispetto a 77 dei 151 controlli (51 per cento) (rapporto fra gli odds appaiati, 31.2; intervallo di confidenza al 95 per cento, 4.0 rispetto a 244.2). Quasi tutte le iniezioni intramuscolari erano antibiotici, e l’associazione risultava più intensa per i pazienti che avevano ricevuto 10 o più iniezioni (rapporto fra gli odds appaiati per 10 o più iniezioni confrontato con nessuna iniezione, 182.1; intervallo di confidenza al 95 per cento).”

Quindi il rischio di paralisi risultava strettamente associato alle iniezioni somministrate dopo il vaccino orale antipolio, ma non alle iniezioni somministrate prima o contemporaneamente al vaccino. Ad ogni modo, in tutti i casi l’OPV venne somministrato simultaneamente al vaccino DPT.
Aspetto interessante, come riferito da Strebel et al. (1995), con iniezioni IM somministrate dopo il DPT e l’OPV i tempi di insorgenza della paralisi erano di 9-30 giorni con una mediana di 16 giorni (il rischio più elevato si presentava in corrispondenza di 8-14 giorni, 15-21 giorni e 22-30 giorni), e di 0-7 giorni e 15-21 giorni nel caso di iniezioni di DPT e OPV somministrate prima dell’insorgenza della paralisi. Questo rispecchiava il fenomeno dei giorni critici scoperto e definito da Scheibner (2004).

 

Epidemia di poliomielite in Gambia

Otten et al. (1992) e Deming et al. (1992) hanno riferito di un’epidemia di poliomielite in Gambia, associata al poliovirus di tipo 1 e implicante 305 casi (popolazione stimata nel 1986 pari a 768.995 individui), verificatasi da maggio a novembre del 1986 dopo un periodo di sei anni senza epidemie, con solo 5 casi riportati. Il più elevato tasso della patologia riguardava i bambini di un anno di età: 394 casi su una popolazione di 100.000 soggetti. Il tasso nazionale era di 40 su 100.000 soggetti. Un’indagine sulla copertura delle vaccinazioni indicò che nel 64 per cento dei casi i bambini di età compresa fra uno e due anni erano stati vaccinati con almeno tre dosi di vaccino antipolio orale trivalente all’inizio dell’epidemia. Cinquantasette casi rimasero paralizzati a distanza di oltre due settimane da una campagna nazionale di vaccinazione di massa nel cui contesto, secondo quanto riportato, il 95 per cento dei bambini di età compresa fra uno e sette anni ricevette una dose di vaccino antipolio orale trivalente. La conclusione degli autori è stata che la campagna di vaccinazione di massa potrebbe aver conseguito solo un successo limitato nel porre termine all’epidemia.
Wyatt (1987) si è occupato di un altro ben noto problema di poliomielite provocata da iniezioni di DPT congiuntamente a OPV in Gambia, fenomeno trattato nella precedente sezione riguardante la Romania.



Epidemia di poliomielite in Namibia

Van Niekerk et al. (1994) hanno descritto un’epidemia di poliomielite paralitica in Namibia. Secondo i loro scritti:

“Gli ultimi casi confermati di poliomielite in Namibia erano stati riportati nel 1988. Tuttavia, fra l’8 novembre 1993 e il 7 gennaio 1994 nel paese sono stati confermati 27 casi di poliomielite paralitica. L’epidemia è rimasta confinata al distretto sanitario meridionale; almeno l’80% dei bambini di tale area aveva ricevuto quattro dosi di vaccino antipolio orale (OPV) all’età di un anno. I pazienti erano di età variabile fra i 13 mesi e i 12 anni; 24 di essi avevano meno di 5 anni. Dei 26 pazienti di cui era noto lo status di vaccinazione, 14 avevano ricevuto quattro dosi OPV, 6 una o due dosi e 6 nessun vaccino.”

Nel distretto settentrionale i consueti servizi sanitari, e quindi le vaccinazioni, erano rimasti seriamente compromessi da una lunga guerra. Aspetto interessante, gli autori argomentavano che in virtù delle scarse attività di vaccinazione nel distretto sanitario settentrionale il poliovirus selvaggio circolava liberamente, e contro di esso i bambini svilupparono una solida immunità (senza manifestare paralisi).

Queste interessanti e importanti informazioni sono state replicate da Van Biellik et al. (1994), i quali hanno scritto:

“Alla fine del 1993 si è verificata un’epidemia di poliomielite, limitata quasi esclusivamente agli abitanti del distretto sanitario meridionale [area sottoposta a una massiccia campagna di vaccinazione]. Di conseguenza ipotizziamo che la circolazione del poliovirus selvaggio endemico sia proseguita ininterrottamente in Angola e nelle due aree settentrionali della Namibia attraverso il trafficato confine dal 1989, anno in cui furono documentati gli ultimi casi. Sebbene nel nord della Namibia la copertura di OPV sia stata alquanto bassa rispetto al sud, in una percentuale più elevata i bambini dell’area settentrionale potrebbero essere stati protetti, quantomeno dal tipo 1, da immunità naturale, eliminando in tal modo l’epidemia. Nel 1993, rispetto al distretto settentrionale la copertura di OPV3 presso i bambini di età inferiore a un anno fu più elevata nel distretto meridionale. Ad ogni modo, i riscontri indicano che si costituì un consistente gruppo di soggetti predisposti, in particolare fra i bambini di età compresa fra 1 e 3 [anni], in concomitanza con la bassa copertura [di vaccini], mentre l’apparente interruzione della circolazione del poliovirus selvaggio limitò l’acquisizione di immunità naturale [nel distretto sanitario meridionale adeguatamente coperto da vaccinazioni].”

La medesima situazione di insorgenza di poliomielite presso bambini completamente vaccinati, in genere a seguito di campagne di vaccinazione di massa, si è presentata in numerosi altri paesi, sia industrializzati sia in via di sviluppo. La differenza consisteva nella veridicità dell’opera di documentazione.


Sopra: morbilità di pertosse e poliomielite negli Stati Uniti d'America tra il 1951 ed il 1987.


Meccanismo della paralisi associata a vaccino

Il meccanismo della paralisi associata a vaccino presenta vari aspetti. Uno fra gli elementi sospetti più rilevanti è l’accresciuta neurovirulenza associata alla modifica di un singolo nucleotide nel genoma di vaccino antipolio di tipo 3 noncodificante.
Evans et al. (1985) hanno scritto: “Nel complesso i limitati casi di poliomielite che si verificano nei paesi in cui si utilizzano vaccini attenuati di Sabin contro il poliovirus vengono temporaneamente associati alla somministrazione di vaccino e implicano poliovirus di tipo 2 e 3. Studi recenti hanno fornito riscontri convincenti del fatto che gli stessi virus di Sabin 2 e 3 passando all’uomo [vale a dire bambini] possano regredire a un fenotipo neurovirulento ... una mutazione puntiforme nella regione non codificante 5 del genoma del vaccino contro il poliovirus di tipo 3 regredisce in modo consistente a tipo selvaggio in ceppi isolati da casi di poliomielite associata a vaccino. Il virus con tale modifica viene rapidamente selezionato al passaggio attraverso l’apparato gastrointestinale umano. La modifica è associata a un dimostrabile incremento della neurovirulenza del virus.”
Problemi inerenti all’inattivazione di virus (compresi quei vaccini antipolio contaminanti) erano già noti nel 1961-62.
Gerber et al. (1961) hanno descritto l’inattivazione con formaldeide che è soggetta a un fattore asintotico, vale a dire che entro circa 40 ore i virus vengono per la maggior parte inattivati, ma successivamente rimane a tempo indefinito un residuo vitale di virus vivi.

Fenner (1962) ha descritto la riattivazione di virus animali:

“Presso i medici è ancora prassi invalsa parlare di vaccini virali ‘uccisi’ e ‘vivi’, laddove il significato comune di tali termini risulta abbastanza chiaro. Tuttavia, come mi accingo a dimostrare, ora i virologi riconoscono una varietà di situazioni in cui i virus ‘uccisi’ possono moltiplicarsi e produrre un nuovo virus infettivo. Di conseguenza hanno accantonato il termine ‘ucciso’ e adottato in sostituzione il termine ‘inattivato’. Tuttavia anche ‘inattivato’ viene usato in senso ristretto; fa riferimento alla perdita di infettività virale – ovvero, all’incapacità delle particelle di virus di moltiplicarsi e produrre un nuovo virus infettivo in cellule predisposte, allorquando tali cellule ricevono ciascuna unicamente particelle singole del preparato inattivato e nessun’altra particella di virus o derivati.”

Più di recente, si è ricorsi all’inattivazione come metodo utile a studiare la struttura e la funzione dei virus.

“Tale approccio ha ricevuto lo stimolo principale dalla scoperta che in taluni casi l’inattivazione risultava reversibile.” (Fenner, 1962)

La riattivazione intracellulare virale ha riscosso scarsa attenzione. Nel 1951 fu dimostrata la molteplicità di riattivazione di virus dell’influenza irradiato con UV, mentre nel 1956 e 1961 si dimostrò che con il medesimo virus si verificava riattivazione incrociata. Virus di vaccini da poco irradiati hanno dimostrato di sottostare tanto a molteplicità quanto a riattivazione incrociata (Fenner, 1962). (A mio parere questo dimostra l’erroneità della prassi di irradiare gli alimenti: i batteri irradiati risultano indeboliti solo in via temporanea e quindi ripristinano la propria virulenza originaria.) Nel 1936 Barry e Dedrick (citati da Fenner, 1962) avevano già dimostrato che alcuni conigli cui era stata inoculata una miscela di virus di myxoma inattivato da calore e virus di fibroma attivo morivano di mixomatosi. Tali dati evidenziano i pericoli derivanti dall’inoculazione di virus “inattivati” o riattivati “non-geneticamente” in modo dubbio.
La letteratura medica convenzionale ha documentato assai di frequente e in svariati paesi numerose epidemie di paralisi connesse a programmi di vaccinazione di massa. Nel presente articolo mi sono limitata a descrivere alcuni esempi, tuttavia i lettori interessati possono reperire agevolmente ulteriori esempi passando in rassegna la letteratura esistente.

 

Conclusioni

La vaccinazione antipolio di massa non solo non ha eliminato la poliomielite paralitica, ma ha provocato una serie di epidemie di paralisi direttamente connesse ai vaccini somministrati.
Di questi tempi, quando un soggetto vaccinato contrae la poliomielite, magari la patologia non viene definita con suddetta denominazione; al contrario, può darsi che venga definita meningite asettica o virale, paralisi ascendente (sindrome di Guillain-Barré), paralisi cerebrale infantile (oltre il 75 per cento dei casi non viene diagnosticato alla nascita, bensì dopo sei mesi) o altre denominazioni del genere. Secondo MMWR (1997; 32[29]:384-385), ogni anno negli Stati Uniti si hanno da 30.000 a 50.000 casi di meningite asettica. Tenendo presente che nella stragrande maggioranza (99 per cento) i casi riportati nell’epoca antecedente ai vaccini erano non-paralitici e sarebbero stati corrispondenti a meningite asettica, allora le vaccinazioni hanno di fatto innalzato l’incidenza della poliomielite. Nell’epoca antecedente ai vaccini tali cifre elevate si presentavano soltanto in alcune epidemie. Ora si presentano ogni anno, di anno in anno.    ∞

 


Questo articolo è stato originariamente pubblicato in due parti sui nn. 84 ed 85 di NEXUS New Times (febbraio-marzo e aprile-maggio 2010). La ripubblicazione su altri siti è gradita esclusivamente con riferimento all'autore e alla fonte originale cartacea.


     


L’autrice:


La Dott.ssa Ric. Viera Scheibner, nata nel 1935 a Bratislava, ex Cecoslovacchia (attuale Repubblica Slovacca) è una ricercatrice scientifica in pensione. Dopo aver studiato Medicina nel 1953 e aver cambiato indirizzo di studi nel 1954, nel 1958 si è laureata in Scienze Naturali, disciplina nella quale nel 1964 ha ottenuto un dottorato (RNDR) dalla Università Comenius di Bratislava.
Prima di emigrare in Australia, nel 1968, ha acquisito la docenza di Professore Associato e tenuto corsi universitari di Biologia, Micropaleontologia e Geologia, ambito in cui ha pubblicato 35 articoli scientifici e un libro.
Dopo l’arrivo in Australia, la D.ssa Scheibner ha conseguito un incarico di scienziato di ricerca (micropaleontologa) presso la Geological Survey of New South Wales, Dipartimento Minerario (in seguito ridenominato Dipartimento Risorse Minerarie). Nel 1987 ha abbandonato l’incarico di primo scienziato di ricerca, dopo aver pubblicato scoperte scientifiche in altri 47 documenti nonché due libri. Alla fine degli anni Ottanta, la D.ssa Scheibner è stata impegnata nello studio della respirazione dei bambini con il monitor della respirazione Cotwatch basato su microprocessore, elaborato in collaborazione con il marito, l’ingegnere svedese esperto di elettronica biomedica Leif Karlsson (deceduto nel 1994). Le scoperte fatte con il Cotwatch hanno innescato il suo interesse verso il legame fra sindrome della morte infantile improvvisa (SIDS) e vaccinazione, sfociato nella sua approfondita disamina della letteratura medica convenzionale concernente i pericoli e l’inefficacia dei vaccini, che prosegue tuttora.
Dal 1990 la D.ssa Scheibner ha pubblicato e pubblica numerosi documenti e lettere presso testate riviste dai pari e di altro genere, e ha tenuto seminari sui pericoli e l’inefficacia dei vaccini in Australia e a livello internazionale. Dal 1996 ha prodotto oltre un centinaio di rapporti ed è comparsa come consulente tecnica in numerosi processi inerenti a lesioni e decessi da vaccini erroneamente diagnosticati come lesioni fisiche causate da genitori e altri tutori, fenomeno denominato “sindrome del bambino scosso”.

La D.ssa Scheibner è autrice di Vaccination: 100 Years of Orthodox Research Shows that Vaccines Represent a Medical Assault on the System (1993) e Behavioural Problems in Childhood: The Link to Vaccination (2000). Il suo articolo più recente per NEXUSSgonfiamo la bolla degli antibiotici, è stato pubblicato sul numero 94 (e consultabile a questo indirizzo). La Dott.ssa Scheibner può essere contattata all’indirizzo e-mail viera.scheibner@gmail.com. Maggiori informazioni e dettagli biografici sono disponibili su www.vierascheibner.com.

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Ora, torniamo a noi con un articolo di Rainews del 16 dicembre 

Sono quasi 140.000 i vaccini anti Covid somministrati in una settimana nel Regno Unito, primo Paese al mondo ad aver dato il via libera al prototipo Pfizer/BioNTech. Lo ha annunciato oggi Nadhim Zahawi, il viceministro incaricato ad hoc dal governo Tory di Boris Johnson di sovrintendere al programma di vaccinazioni, precisando che 108.000 persone - a partire da anziani e operatori sanitari,indicati come prioritari in questa fase 1 - hanno ricevuto la prima dose in Inghilterra (che conta circa 55 milioni dei 66.5 milioni di abitanti del Regno), 18.000 in Scozia, quasi 8000 in Galles e circa 4000 in Irlanda del Nord.


Ma guarda caso, 15 giorni dopo l'inizio della campagna di vaccinazione è esplosione dei contagi...

Ora, ce la fate a mettere insieme i pezzi del puzzle e fare 1+1?

Una correlazione perfetta, sempre ... I vaccini hanno provocato epidemie. Mettetevelo bene nella vostra capoccia ottusa covidioti lobotomizzati, i vaccini NON CURANO, NON PREVENGONO 👉 ATTUANO

🔴🔴🔴

Vi propongo un interessante articolo datato ma sempre attuale...

Nuove Conoscenze sul Sistema Immunitario e Conseguenze a Medio e Lungo Termine dell'Utilizzo dei Vaccini

Il dott. Heinrich Kremer è medico e ricercatore e insieme al dott. Stefan Lanka fondò a suo tempo REGIMED, un gruppo di ricerca scientifica che si avvaleva della collaborazione di scienziati, medici e giornalisti. Il dott. Kremer è stato uno dei primi medici ad occuparsi di AIDS in Germania dove ha rivestito la carica di Direttore dell'Ospedale interregionale per le malattie legate alle tossicodipendenze e quella di incaricato ministeriale della politica sanitaria per le tossicodipendenze in cinque "lands" tedeschi (compresa la città di Berlino) proprio grazie alla sua trentennale esperienza nell'ambito delle droghe.

Qui di seguito anticipiamo un estratto da un suo recente e approfondito studio sulle dinamiche dell'aggressione che i vaccini compiono a danno del sistema immunitario. Lo studio in versione integrale probabilmente sarà pubblicato da questa stessa editrice.

Gli studi su cui il dott. Kremer basa le sue ricerche mettono in luce quanto siano antiquati i fondamenti su cui si impernia la teoria vaccinale. Oggi, grazie a ciò che Kremer documenta e che oramai sappiamo sul sistema immunitario, è palese che la tecnica di produzione e di inoculazione dei vaccini si rivela priva di fondamento scientifico e di elementi che la sostengono, soprattutto quando pretende di trattare ogni neonato o bambino con la stessa dose, le stesse sostanze e alla stessa età indipendentemente dalle particolari specifiche caratteristiche biologiche di razza, gruppo sanguigno, eredità genetica ecc.

Questo preteso rimedio universale è tanto amato dai ciarlatani e dall'industria di massa per gli innegabili vantaggi che esso comporta: ovviamente, produrre un milione di "pezzi" tutti uguali è molto più facile e redditizio che produrre un milione di "pezzi" tutti diversi.

Secondo gli studi citati da Kremer, il sistema immunitario umano ha avuto un'evoluzione nel corso dei millenni in conseguenza dei nuovi stimoli dovuti a variazioni ambientali esterne, come ad esempio la comparsa dei vermi.

In origine, dice Kremer, il sistema difensivo umano era costituito esclusivamente da cellule di tipo T (linfociti T), prodotte dalla ghiandola del timo, che funzionavano bene sui virus che aggredivano l'organismo neutralizzandoli con l'emissione di un gas venefico, il monossido di azoto. Con la comparsa di microorganismi più grandi (i vermi), dato che l'emissione di una quantità adeguata di gas letale avrebbe compromesso la funzionalità di un numero consistente di cellule anche non infettate, conducendo quindi a un indebolimento dell'organismo e poi al suo soccombere, il sistema immunitario iniziò a produrre un altro tipo di cellule difensive, le cellule immunitarie B, prodotte a partire dal midollo osseo, che intervengono attraverso una reazione anticorpale e distruggono gli aggressori più grandi che si introducono nel nostro corpo.

Un'evoluzione analoga ha caratterizzato il sangue umano. Inizialmente esisteva solo il gruppo sanguigno di tipo 0 (zero), quello dei cacciatori carnivori preistorici. In seguito si sono aggiunti i gruppi A, B e AB, propri delle popolazioni di agricoltori stanziali ad alimentazione prevalentemente vegetale che seguirono l'epoca dei cacciatori-raccoglitori.

Kremer dimostra, dunque, che a seconda del gruppo sanguigno posseduto e a seconda della predominanza di un tipo di cellule immunitarie (o T o B) ci sono reazioni diverse all'aggressione da parte di virus o di altre sostanze tossiche per l'organismo.

È ormai noto che gli individui con gruppo sanguigno di tipo 0 hanno di consueto forti reazioni immunitarie con cellule di tipo T, per cui di fronte ad una vaccinazione a virus vivi (tipo l'antipolio Sabin o l'antimorbillosa) reagiranno violentemente, talvolta con gravi conseguenze (paralisi, meningite, anafilassi ecc.), senza però poi manifestare altre patologie a lungo termine (sebbene lo stress vaccinico possa costituire in questo caso l'atto di partenza di malattie degenerative come il diabete o la sclerosi multipla).

Gli appartenenti agli altri tre gruppi, invece, hanno solitamente forti reazioni di tipo anticorpale (con cellule immunitarie di tipo B) e quindi di fronte alle vaccinazioni reagiranno con una maggiore "sopportazione" nell'immediato e a breve termine, salvo poi, al contrario, manifestare nel lungo periodo patologie altrettanto gravi come asma, neurodermiti, allergie, poliartrite cronica ecc. dovute ad un eccesso di produzione di anticorpi conseguente lo shock della stimolazione artificiale del sistema immunitario.

Valerio Pignatta

Il Sistema Immunitario

Il sistema immunitario (S.I.) dell'uomo adotta due tipologie di strategie nei confronti delle sostanze estranee. Una cosiddetta del tipo 1 e l'altra del tipo 2.

La prima (tipo 1), quella più antica, è espressa dalle cellule immunitarie T ed è altamente specializzata per difendersi da virus, batteri intracellulari (come quello della malaria) e protozoi; virus, batteri e protisti che si insediano prevalentemente all'interno delle cellule umane, dando origine alle cosiddette infezioni intracellulari. L'"arma", che le cellule T utilizzano per eliminare le cellule infettate, è il monossido di azoto (NO): un gas a struttura molecolare molto piccola e particolarmente reattivo, che riesce ad oltrepassare la membrana cellulare e, una volta penetrato all'interno, altera la catena di respirazione dei mitocondri, una categoria di organelli vitali per la sopravvivenza e l'equilibrio della cellula stessa. Dato che il gas NO è particolarmente reattivo (tossico), vi è nell'organismo un delicato equilibrio tra questo gas e le sostanze antiossidanti che riescono a neutralizzarlo rendendolo così innocuo per le cellule sane.

Nel corso dell'evoluzione, a partire dalla comparsa dei vertebrati, comparve una nuova classe di microbi: i vermi. I vermi erano (e sono), in genere, di dimensioni molto più grandi dei parassiti fino ad allora conosciuti ed il sistema immunitario delle cellule T non era in grado di rispondere efficacemente ad agenti microbici che aumentavano in dimensione.

Si sviluppò così l'altra strategia di difesa (la tipo 2) attraverso gli anticorpi o, in generale, attraverso le cellule immunitarie B prodotte a partire dal midollo osseo. Le cellule B reagiscono infatti a sostanze estranee di grandi dimensioni e alle sostanze tossiche (risposta anticorpale). Per esempio, i vaccini che non contengono virus vivi attenuati (come l'antitetanica e l'antipolio Salk), stimolano una risposta anticorpale, mentre i vaccini a virus vivi (come l'antipolio Sabin e l'antimorbillosa) stimolano le cellule T per ottenere una maggior produzione di gas letale e quindi un'intensificazione dell'immunità intracellulare.

I due tipi di meccanismi di difesa (tipo 1 e tipo 2) del S.I. interagiscono profondamente e il corretto funzionamento di quest'ultimo dipende proprio dal delicato equilibrio tra immunità intracellulare e risposta anticorpale.

Se vi fosse, ad esempio, uno sbilanciamento verso il tipo 1, a sfavore quindi dell'immunità anticorpale (tipo 2), vi sarebbe il rischio di contrarre malattie autoimmunitarie; uno sbilanciamento invece verso il tipo 2 (un maggior numero di anticorpi in conseguenza di una risposta anticorpale eccessiva) provocherebbe un maggior rischio di malattie di tipo allergico. [...]

Reazione in rapporto al gruppo sanguigno

Benché sia insufficiente la ricerca ufficiale a questo livello, è noto che la reazione alla vaccinazione dipende anche dal gruppo sanguigno. Il gruppo sanguigno più frequente è lo zero (0) e si sa che i bambini con questo gruppo sanguigno possono manifestare una forte reazione vaccinale del tipo 1, soprattutto in caso di vaccinazione con virus vivi attenuati, quindi con vaccini antivirali. I bambini, invece, che hanno gruppo sanguigno A e AB, possiedono una tolleranza relativamente buona, senza reazioni violente manifeste. Se per A ed AB è relativamente buona la tolleranza, il gruppo B ha una particolare predisposizione alle reazioni post-vaccinali di tipo neurotossiche.

Nel gruppo 0, quindi, con una vaccinazione a virus vivo, viene potenziata l'immunità cellulare. Negli altri gruppi: A, B e AB, vi è invece una reazione di tipo 1 molto debole.

La conseguenza di questo debole potenziamento dell'immunità cellulare non permette un'efficace soppressione degli agenti patogeni (in genere virus) introdotti con la vaccinazione. In questo modo si rischia di indurre un'infezione sub-cronica che può manifestarsi anche molto tempo dopo. Inoltre c'è il rischio di perdere l'efficacia dell'immunità cellulare anche in età adulta o molto avanzata. Ad esempio, una poliartrite cronica può comparire all'età di 35 anni, come pure un'infezione da morbillo dove i sintomi non sono tipici (atipici) e che quindi, molto spesso, non viene neanche riconosciuta come tale.

Ovviamente, tutte queste affermazioni sono abbastanza relative perché la ricerca è molto scarsa in questo campo. Gli antigeni dei gruppi sanguigni presenti sugli eritrociti non sono proteine, come in altri casi, ma molecole di glucosio (zucchero) e sono i più forti antigeni nel nostro organismo. Perciò gli antigeni, sostanze che possono attivare reazioni immunitarie, non devono necessariamente essere delle proteine.

In linea di principio, tutte le molecole possono essere antigeni, anche i metalli, come ad esempio il mercurio, contenuto in determinati vaccini. Le reazioni agli agenti esterni (tossine, organi trapiantati, vaccinazioni ecc.) sono quindi individuali: nessuno avrà la stessa reazione alle sostanze estranee.

Per fare alcuni esempi di reazioni in rapporto al gruppo sanguigno, il gruppo B ha una maggior reazione di tipo neurotossica; quindi maggior pericolo di danni neurologici se viene praticata una vaccinazioni contenente sostanze neurotossiche come il mercurio ed altri additivi. Il gruppo A è sensibile al sistema gastro-intestinale, di conseguenza sarebbe meglio evitare vaccini vivi (presi per via orale). Poiché nel periodo prenatale vi è anche un maggiore rischio neurotossico sarebbe meglio evitare tutte le vaccinazioni.

Com'è noto, vi sono quattro principali gruppi sanguigni: 0, A, B e AB. Il più frequente, come si è detto, è il gruppo sanguigno 0. 0, A, B e AB è l'ordine decrescente in termini di frequenza dei gruppi sanguigni in Europa (0>A>B>AB). Due sono i principali gruppi di persone che possono essere differenziate in base al gruppo sanguigno. Il primo gruppo appartiene al gruppo sanguigno 0; l'altro gruppo ai restanti gruppi sanguigni: A, B e AB.

Si è visto che il gruppo 0 ha una buona e forte reazione post-vaccinale del tipo 1 (stimolazione dell'immunità cellulare). Il secondo gruppo (con gruppi sanguigni A, B e AB) ha una migliore tolleranza al vaccino.

Il gruppo sanguigno 0 è quello più antico nella storia dello sviluppo dell'uomo. Apparteneva ai cacciatori, ai mangiatori di carne, circa 35 mila anni fa, cioè all'uomo di Neandertal, il Cro-Magnon. Il gruppo A apparteneva ai contadini, agricoltori che si insediavano da qualche parte sul territorio, la cui alimentazione era più indirizzata verso i cereali che non verso la carne.

Una delle differenze fra i gruppi sanguigni 0 ed A, è la diversità delle molecole di glucosio che fungono da antigeni: vi è una molecola in più. Dato che gli antigeni del proprio organismo non sono uguali per tutti, la reazione alle sostanze estranee (come una vaccinazione) sarà diversa, ed in prima approssimazione, lo sarà in funzione ai gruppi sanguigni. L'importante qui è sapere che il gruppo A ha una forte reazione del tipo 2 ed ha anticorpi nei confronti del gruppo B, mentre il gruppo 0 ha anticorpi contro il gruppo sanguigno A e B. Il gruppo A sopporta meglio le vaccinazioni. E quando si dice sopporta meglio, i parametri con cui si misura questo "meglio" sono solamente le conseguenze acute a breve termine. Questo per il fatto che il gruppo A ha una maggiore immunità a livello di anticorpi.

Vi è quindi già una differenza fra la vaccinazione di un bambino con gruppo sanguigno 0 e uno con gruppo A. Tutti, invece, vengono ufficialmente vaccinati allo stesso momento, con lo stesso vaccino, con la stessa dose e con la stessa modalità di somministrazione. Della differenza fra i gruppi non se ne parla minimamente, nemmeno tra quelli che sono contro le vaccinazioni.

Perché è importante tutto questo discorso sui gruppi sanguigni? Si è visto che nelle persone con gruppo A l'incidenza dei tumori è maggiore rispetto a quelli del gruppo 0, benché il gruppo 0 sia molto più rappresentato rispetto a quello A. Da studi e ricerche a questo proposito, per le persone con gruppo 0 che hanno un tumore, per esempio al seno, la prognosi è migliore rispetto alle persone con gruppo A. Il gruppo sanguigno 0 sopporta anche meglio la chemioterapia rispetto sempre al gruppo A. Stessa cosa si può dire per l'efficacia della chemioterapia: più efficace nel gruppo 0 rispetto al gruppo A. Anche per il gruppo AB vale lo stesso discorso che per il gruppo A: maggior incidenza di tumori e minor sopportazione della chemioterapia.

Un medico che si è occupato di studi relativi al melanoma (tumore alla pelle) ha voluto esaminare e verificare se le persone affette da melanoma avevano avuto più infezioni batteriche a livello di pelle nell'infanzia rispetto alle persone non affette da melanoma. Poche o nulle infezioni batteriche significa una buona produzione di anticorpi. È stato confermato che le persone facenti parte del gruppo affetto da melanoma, nell'infanzia avevano avuto poche infezioni batteriche. Il gruppo di controllo analizzato era composto invece da persone della stessa età, che avevano avuto durante l'infanzia infezioni batteriche e che non presentavano melanoma, ma altre malattie più associabili alla reazione di tipo 1.

Lo stesso vale per altri tipi di malattie e non solo per il melanoma. L'asma, ad esempio, (conseguenza di una reazione eccessiva di anticorpi) non significa altro che uno spostamento dell'equilibrio immunologico nell'infanzia verso una maggiore produzione di anticorpi, le cui patologie tipiche sono appunto: asma, neurodermiti, allergie, infezioni da vermi (non parassitarie). [...]

HEINRICH KREMER

Vaccinazioni: un danno al sistema immunitario


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