Palamaragate : sempre più schifo

Le intercettazioni di Luca Palamara hanno generato un cortocircuito senza precedenti nella giustizia. In particolare è ai minimi storici la fiducia nei magistrati, ma sul pm dal quale tutto è partito c’è chi ci aveva visto lungo. Siamo nel 2008 e l’allora ministro Clemente Mastella si è appena dimesso per un’inchiesta giudiziaria a suo carico: Palamara è ospite di Maria Latella a Sky Tg24, dove pontifica sul ruolo della magistratura e sulle dimissioni del guardasigilli, almeno fino a quando non irrompe Francesco Cossiga. L’ex capo dello Stato telefona in diretta e asfalta il pm in pochi minuti: “Ha la faccia da tonno. La faccia intelligente non ce l’ha assolutamente. In questi anni ho visto tante facce e le so riconoscere”. Poi l’affondo più duro in chiusura: “L’associazione nazionale magistrati è un’associazione sovversiva e di stampo mafioso”. A distanza di 12 anni, l’Anm è sul punto di crollare. FONTE



Ci sono due conversazioni nello scorso anno che possono cambiare il corso dell’indagine di Perugia. Sono quelle fra Luca Palamara, l’ex presidente dell’Anm ed ex ras delle nomine al Csm, e Giovanni Bianconi, giornalista di giudiziaria del Corriere della Sera. La prima è avvenuta il 7 maggio al bar Settembrini in zona piazzale Clodio, la seconda qualche giorno più tardi, il 21, nell’ufficio di Palamara in Procura a Roma. Le due conversazioni, registrate con il trojan, non sono state mai trascritte dal Gico della guardia di finanza che su delega della Procura di Perugia condusse le indagini a carico di Palamara che terremotarono il Csm. Chi ha avuto modo di sentirle è rimasto molto sorpreso visto che quanto riferito da Bianconi si è poi puntualmente avverato.
Andiamo con ordine. Il 7 maggio i due fissano di incontrarsi di persona verso le 17. Dopo i saluti di rito, Bianconi avrebbe detto a Palamara che il procuratore generale di Firenze Marcello Viola, all’epoca uno dei tanti candidati alla successione di Giuseppe Pignatone alla Procura di Roma, non sarebbe gradito. Anzi, ci sarebbero pressioni contro la sua eventuale nomina. Il 21, invece, sempre Bianconi chiede conferma a Palamara se gli atti dell’indagine di Perugia sono stati inviati al Csm e illustra al pm romano il perché sia finito nel mirino. Il motivo principale sarebbe l’alleanza che Unicost, la corrente di centro di cui Palamara era il dominus, aveva stretto con Magistratura indipendente, il gruppo di destra legato a Cosimo Ferri. Questo accordo non sarebbe gradito dalla sinistra giudiziaria di Area con cui Palamara aveva per anni fatto accordi, come poi emerso, per la spartizione degli incarichi.
Oltre a quella di Viola, non sarebbe gradita anche la nomina di Palamara a procuratore aggiunto. «Voglio essere eliminato per via del merito e non per via giudiziaria», avrebbe risposto Palamara. Il pm romano ha chiesto nei giorni scorsi che le due conversazioni siano trascritte. I pm di Perugia hanno al momento opposto il diniego. In questo scenario da spy story si inserisce in maniera alquanto surreale la decisione di oggi dell’Anm sull’eventuale espulsione dall’associazione di Palamara e Paolo Criscuoli, l’ex consigliere del Csm in quota Magistratura indipendente, costretto lo scorso anno alle dimissioni per aver partecipato alla cena con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti. Criscuoli ha deciso di ricusare i giudici. Vari i motivi. Il primo è che l’Anm, «in regime di prorogatio da vari mesi, è incompetente ad adottare una delibera che certamente non rientra nell’ordinaria amministrazione, quale quella della definizione di un procedimento disciplinare nei confronti di un associato». Il secondo è «non aver avuto accesso agli atti dell’indagine della Procura di Perugia, già trasmessi alla Procura generale presso la Cassazione e posti a fondamento dell’azione disciplinare promossa nei miei confronti e richiamati nelle note dei probiviri, per esercitare un compiuto diritto di difesa».

Quindi c’è la posizione di «ciascun componente del Cdc indicato, da organi di stampa, per quanto a mia conoscenza, in assenza di smentita, come interlocutore di Palamara in relazione ad interessamenti, indicazioni, pressioni, accordi aventi ad oggetto, in particolare, l’attività del Csm relativa alla nomina di direttivi e semidirettivi». Fra chi si dovrebbe pronunciare, ad esempio, c’è Alessandra Salvadori, chat n. 787, e Bianca Ferramosca, chat n. 714. E comunque, conclude Criscuoli, già nelle deliberazioni del 5 giugno 2019 e del 13 settembre 2019, tutti i componenti hanno «già manifestato un giudizio».

Quindi «un conflitto di interessi tra la posizione già espressa e quella quale componente dell’organo». Sempre ieri, sul fuori ruolo “politico” di Raffaele Cantone, i cinque anni alla presidenza dell’Anac che gli hanno permesso di diventare procuratore di Perugia, sono interventi i togati di Mi, stigmatizzando l’importanza data dal Csm a questo incarico rispetto all’attività giurisdizionale. Il giorno prima era intervenuto sul punto anche l’ex laico del Csm Antonio Leone, ora presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.


Dopo magistratopoli ora scoppia giornalistopoli. Ma se i giornali sono stati molto silenziosi sullo scandalo Csm (e restano per abitudine silenziosissimi su qualsiasi scandalo che riguardi i magistrati), ora diventano veramente muti su giornalistopoli. Muti al 100 per cento. È un ordine di scuderia. Non ci sarebbe niente di male. Le intercettazioni che toccano i più importanti giornalisti dei più importanti giornali italiani, messe a disposizione degli stessi giornali dalla Procura di Perugia che indaga sul caso Palamara, sono pure e semplici intercettazioni e non dimostrano che esista alcun reato da parte dei giornalisti. Sono intercettazioni infami, come sempre lo sono le intercettazioni. Dunque, a rigor di logica, perché bisognerebbe pubblicarle? Per una sola, piccolissima, ragione. Perché i giornalisti che stavolta sono stati intercettati sono esattamente gli stessi che di solito pubblicano paginate intere di intercettazioni, generalmente ai politici o ai loro amici o familiari, sebbene queste intercettazioni non contengano nessuna notizia di reato.
Spesso, anzi, pubblicano intercettazioni che sono ancora segrete, e che qualche Pm ha deciso di far filtrare per mettere in difficoltà gli indiziati, o per ottenere qualche aiuto nell’inchiesta o, più semplicemente, per iniziare a punire non essendo sicuri di poter poi ottenere la condanna, visto che le prove latitano. Le intercettazioni, e la loro pubblicazione, hanno un effetto fondamentale e incontrollato e immediato: sputtanano. Comunque, chiunque. Nella pubblicazione generalmente non c’è mai un’opera di mediazione o di ragionamento. Mai un elemento a difesa o una proposta di attenuanti. C’è un solo ragionamento, evidentemente, che viene fatto nelle redazioni dei giornali: quali conviene pubblicare, quali è meglio censurare. Se il giornalismo italiano non fosse quasi interamente sottomesso alla logica delle Procure e delle intercettazioni, non ci sarebbe nessun motivo per stupirsi del fatto che restino segrete le intercettazioni che riguardano le principali firme di giudiziaria (e non solo di giudiziaria) del Corriere della Sera e di Repubblica e della Stampa e di svariati altri giornali. Sono tutte intercettazioni che son state prese con i trojan sul cellulare dell’ex procuratore aggiunto di Roma Luca Palamara. Esattamente uguali a quelle che furono ampiamente pubblicate perché riguardavano uomini politici. Luca Lotti, considerato all’epoca vicino a Renzi, è stato praticamente vivisezionato. Sebbene la legge proibisse le intercettazioni dei suoi discorsi privati: è vietato intercettare i parlamentari, e Lotti è un parlamentare. È vietato anche perché è previsto dal buonsenso, e dalla Costituzione, che un dirigente politico debba avere una parte della sua attività che resti riservata. Può essere una attività di diplomazia, di compromessi, di trattative, di accordi. Senza queste cose la politica non esiste. La politica non è solo retorica. È anche governo. E il governo non si fa gridando slogan e basta.
E invece sui politici nessuna indulgenza, anzi, nessun rispetto della legalità. L’ordine di servizio, in questo caso è: sputtaniamoli. Anche se non hanno fatto niente di male. Tutto cambia se invece le vittime del trojan diventano i magistrati e i giornalisti. Cioè la casta. Sarà forse giunto il momento di dirlo: la casta, la vera casta, è quella; la corporazione potentissima che raduna la parte più aggressiva e politicizzata della magistratura e del giornalismo. Diciamo, più semplicemente, il partito dei Pm. Il cui leader massimo, non a caso, non è un Pm ma un giornalista. È Marco Travaglio. Noi abbiamo dato solo uno sguardo a queste intercettazioni. Cosa ci dicono? Che i giornalisti più importanti dei grandi giornali parlavano con Palamara e partecipavano alle operazioni politiche in corso per determinare i nuovi equilibri nella magistratura. C’è una giornalista che dice a Palamara che se l’avesse saputo prima (non ha importanza cosa) l’articolo lo avrebbe scritto lei e in un altro modo. Viene avanzata, da parte di Palamara, l’ipotesi che un altro importante giornalista sia legato ai servizi segreti. Che certo non è un delitto, però dal punto di vista dell’etica giornalistica, se fosse vero, sarebbe una gran brutta cosa.
Perché, per dire, magari preferirei essere informato da persone che non hanno da rispondere ai servizi segreti, non vi pare? Poi c’è addirittura un lungo colloquio tra Palamara e il vicepresidente del Csm dell’epoca nel quale si discute di come sia possibile influenzare Repubblica, se è meglio farlo attraverso pressioni sulla cronista di giudiziaria o sul caporedattore, e il vicepresidente del Csm si offre per parlare con Repubblica ad alto livello, e si discute della necessità di una “azione di orientamento” e si dice quale linea deve passare all’interno di quel giornale. Non ho fatto nomi. Non mi interessano i nomi. Quello che è bene che si sappia è la sostanza: oggi il giornalismo politico, in Italia, è del tutto subalterno al giornalismo giudiziario. Questo grazie alle grandi campagne moralizzatrici condotte dai giornali negli anni scorsi. Cioè le campagne che hanno demolito la reputazione della politica e messo in discussione persino la necessità della democrazia, dipinta come un sistema sostanzialmente corrotto.
Queste campagne sono state guidate dalla magistratura (e dalla sua rappresentanza parlamentare, cioè i 5 Stelle), e forse dai servizi segreti. In questo modo è stato distrutto il giornalismo politico ed è stato reso un sottoprodotto del giornalismo giudiziario. Il giornalismo giudiziario – non tutto, certo, ma quasi tutto – è assolutamente eterodiretto. E, per definizione, privo di indipendenza. E dunque non è più giornalismo.
La gigantesca opera di reticenza di questi giorni dimostra che le cose stanno esattamente così. Che il giornalismo in Italia non esiste più. Che giornalistopoli esiste, è forte, e non ha nemici. Dunque non sarà stroncata. E magistratopoli regge e non si sgretola proprio perché è sostenuta da giornalistopoli. Se poi vi aspettate che qualche giornale o qualche Tv vi racconti queste cose, siete proprio ingenui. L’informazione, quasi tutta, ormai è agli ordini del Fatto.




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