Le élite finanziarie temono un’imminente rivoluzione

 Il globalismo subirà delle pesanti ripercussioni se le richieste di coloro che sono stati lasciati indietro non verranno ascoltate

Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph

Gli uomini di Davos stanno tremando.

L’apolide classe dominante sta raschiando il fondo del barile alla ricerca di una soluzione per condividere con il popolo una quota seppur esigua dei loro capitali.

Una specie di polizza assicurativa prima che metà della società democratica occidentale cerchi di risolvere il problema a modo suo, furiosa per l’inettitudine dell’attuale classe dirigente.

La nuova dottrina sancita dal “Manifesto di Davos” si avvicina al “Manifesto Comunista” del 1848.

L’idea centrale è lo “Stakeholder Capitalism” [https://www.investopedia.com/stakeholder-capitalism-4774323], altrimenti conosciuto come “badate ai vostri operai”: un accordo per non distruggere la società o addirittura il pianeta.

C’è qualcosa di grottesco nella crisi generata dai lockdown.

Da un lato ha devastato le piccole aziende e i lavoratori autonomi, facendo perdere trilioni di dollari di risparmi al ceto medio.

Dall’altro, l’indice “Nasdaq 100” è aumentato del 40% rispetto al periodo precedente la pandemia.

Il valore di alcune multinazionali è aumentato di 24 trilioni a partire da marzo.

I più ricchi, comportandosi come dei criminali, hanno fatto un sacco di soldi.

Ray Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates, il Fondo d’Investimento più grande al mondo, ha detto che: “Siamo sulla soglia di una terribile guerra civile. Gli Stati Uniti sono arrivati al punto di non ritorno. Superato questo limite la situazione diventerà ingestibile e sfocerà in una rivoluzione”.

La torta dev’essere assolutamente divisa.

Gli uomini e le donne di Davos sanno bene che negli ultimi 20 anni, nascondendosi dietro una virtuosa ideologia globalista, si sono impossessati della maggior parte delle risorse economiche.

Sanno che la diseguaglianza si è inasprita in modo sconcertante, al punto che un manager di medio livello di una delle società appartenenti alla S&P 500 guadagna 357 volte più di un lavoratore non qualificato.

Negli anni ‘60 la differenza era solo di 20 volte in più. Quando la Presidenza di Reagan terminò, questa era di 28 volte maggiore.

Il divario che si è creato lascia esterefatti.

Sapevano che l’eliminazione dei confini fisici e virtuali avrebbe favorito i loro interessi e che la quota di Pil generata dal loro profitto si sarebbe alzata fino a livelli inimmaginabili, paragonabili solo a quelli dell’America di Gatsby.

Di riflesso, attraverso la riduzione degli stipendi, sarebbe crollata la quota di Pil generata dal lavoro.

I “colletti dorati” — i lavoratori “intellettuali” — sono stati in grado di muoversi in una sfera privilegiata, al di là delle frontiere e delle nazioni, generando enormi guadagni dalle loro competenze.

David Goodhart li definisce sarcasticamente “Anywheres”.

“colletti blu”, invece, i lavoratori legati al territorio, facenti parte del clan dei “Somewheres”, hanno dovuto competere con gli stipendi cinesi.

“In questo momento, il capitale intellettuale sta generando guadagni enormi. Il lavoro manuale, invece, non viene pagato”, ha detto il Direttore Generale di Barclays, Jes Staley, alla Conferenza virtuale di Davos tenuta quest’anno.

Questo scottante argomento avrebbe dovuto spingere il World Economic Forum a fare qualcosa, ma solo in pochi hanno avuto il coraggio di ascoltare questo grido disperato.

Ora, però, tutti hanno aperto le orecchie.

L’irruzione al Congresso del 6 gennaio da parte delle milizie di Trump non è stata certamente “la presa della Bastiglia” per la cricca di Davos.

È stato più un crocevia tra la “marcia su Roma” di Mussolini e l’autogolpe di un caudillo Boliviano.

Quel giorno, però, è venuto alla luce l’enorme odio verso i privilegi e l’ipocrisia della “classe apolide”, gli “Anywheres”.

La ricetta offerta da Dalio è una specie di tregua in stile “Manhattan Project”, che propone di ricostruire le fondamenta pericolanti della società Occidentale.

Il suo modello è il “New Deal” di Franklin Roosevelt.

Tuttavia, si potrebbe guardare anche allo “Square Deal” di Theodore Roosevelt, antecedente la Prima Guerra Mondiale.

Un attacco ai potentissimi “cartelli della finanza” e ai “predatori della ricchezza” che, a quel tempo, stavano distruggendo il capitalismo americano.

La pandemia ha accelerato questi sintomi.

La Banca Centrale Europea ha stimato che i lockdown abbiano accelerato di sette anni il processo di digitalizzazione già in corso.

Ci sarà un gran numero di aziende insolventi quando scadrà la moratoria.

La ripresa a “forma di K” minaccia di “brasilizzare” l’Europa e il Nord America.

I ricchi di San Paolo, infatti, si spostano in elicottero dalle loro fortezze urbane alle spiagge private, volando sopra gli ingorghi del traffico e le gang di ladri d’auto.

E’ questo è il risultato della diseguaglianza.

Mary Callaghan Erdoes, a capo della “Assets and Wealth Management” della JP Morgan, ha detto che: “Se continuassimo così, andremo incontro a una radicalizzazione della società. Dobbiamo trovare un modo per correggere la situazione, altrimenti ci ritroveremo in una situazione molto pericolosa”.

Sarebbe ingiusto, però, usare gli uomini di Davos come capro espiatorio.

Talvolta, il WEF sembra un “riformatorio per peccatori”, una clinica per il “miglioramento morale delle élite economiche”.

La sua eminenza grigia, Klaus Schwab, nella sua rettitudine è il prodotto della cultura democristiana della Germania Meridionale, ispirata alle dottrine di Papa Leone XIII esposte nell’enciclica “Rerum Novarum”, incentrate sui “diritti e i doveri del capitale e del lavoro”.

La Rerum Novarum era da intendersi come il “rifiuto dei falsi insegnamenti del socialismo” e rappresentò una grande attrattiva per i lavoratori Europei di quegli anni: “Il primo e più importante principio dev’essere l’inviolabilità della proprietà privata”.

Ma si rivolgeva anche ai grandi capitalisti perché elevassero il loro spessore morale … e questo ci fa tornare ai giorni nostri (ci vengono in mente Amazon e Uber):

“Non ci sorprende che lo spirito del cambiamento rivoluzionario, che per lungo tempo ha disturbato le nazioni del mondo, abbia oltrepassato la sfera politica e affermato la sua influenza nella sfera dell’economia pratica.

Gli elementi del conflitto che ora stanno emergendo sono inequivocabili … le enormi ricchezze di pochi, la totale miseria delle masse e, infine, la degenerazione morale. La gravità della situazione, in questo momento, ci riempie di apprensione”.

Queste parole rappresentano esattamente Schwab.

Per molto tempo ci ha avvisato che il globalismo avrebbe prodotto gravi ripercussioni sociali, a meno di non prestare più attenzione a coloro che sono rimasti indietro.

Tuttavia, ci si può chiedere se intendesse anche le scomode sensibilità culturali dei “Somewheres” (ho i miei dubbi).

Il mio ottimismo mi fa dire che la diseguaglianza di oggi si autocorreggerà quando il pendolo politico oscillerà dall’altra parte.

Col “senno del poi”, possiamo vedere che le democrazie liberali hanno fallito nella risposta alla crisi della Lehman, imponendo un’austerità fiscale compensata da una deregolamentazione eccessiva dei flussi monetari e da Quantitative Easing a oltranza.

All’aumento della ricchezza dei più ricchi non è corrisposta la crescita dei salari nel mondo del lavoro … e questa è una combinazione tossica.

Ora, l’America è passata a una colossale reflazione fiscale. Alla guida del Tesoro c’è un’economista keynesiana.

La Federal Reserve ha adottato come principio-guida l’“equità” e proverà a sistemare il rapporto debito-spesa.

Il sistema di Washington, nella sua interezza, sta muovendosi verso una sorta di economia di guerra in stile “Manhattan”, come voluto da Ray Dalio.

Tutto questo è rafforzato dalle politiche commerciali e di approvvigionamento “Compra Americano” di Joe Biden.

Inoltre, una tassa che regolamenterà i limiti all’utilizzo del carbone contrasterà la delocalizzazione verso la Cina e aiuterà a riportare in America la produzione manifatturiera.

Il cambio di rotta in Gran Bretagna, invece, ci fu nel 2016.

Il triplice sconvolgimento causato dal referendum, dalle Elezioni Europee e dalla demolizione del “muro rosso” dei Laburisti da parte di Boris Johnson, portò a un cambio di rotta.

Se, invece, determinati interessi occulti avessero avuto successo nel ribaltare il risultato della Brexit, le conseguenze per il Regno Unito sarebbero state catastrofiche.

È molto importante che questo non sia avvenuto.

La Brexit ha avuto effetti paradossali perché ha mostrato l’allineamento della sinistra alle multinazionali, alle banche e agli interessi transnazionali ponendosi, di conseguenza, su posizioni contrarie alla classe lavoratrice.

La sinistra britannica delle metropoli — opposta all’estrema sinistra giacobina — sembra non aver capito che l’UE, con i suoi oscuri meccanismi legali, sia sinonimo di politiche fiscali contraddittorie e del predominio della finanza.

L’architettura dei Trattati esistenti favorisce l’attuale status quo, non permettendo all’Europa di trasformarsi.

Provare ad annullare l’Aquis sarebbe un processo lungo ed estenuante. Il pendolo non può oscillare nel senso opposto. È bloccato.

I Greci votarono per un cambiamento radicale, nel 2015. Anche gli Italiani votarono per un cambiamento, nel 2018.

Ma non è cambiato nulla. I leader dissidenti vengono immancabilmente cooptati.

Le Istituzioni Europee di Bruxelles sono avulse dalle dinamiche della democrazia, come può esserlo solo la Curia Papale.

Quindi la domanda è: come potrà reiventarsi, l’UE e soprattutto l’eurozona, per contrastare il contraccolpo che subirà dai lavoratori, i cosiddetti “Somewheres”?

Per gli uomini e le donne di Davos una soluzione al loro problema potrebbe arrivare entro breve: una tassa sulla ricchezza.

Tim Bond dell’Odey Asset Management pensa che i Governi siano davanti a una scelta: o fare deficit, generando inflazione, o seguire il sentiero più semplice, un’eccezionale confisca della ricchezza.

Un’analisi della Fed mostra che i dieci uomini più ricchi degli Stati Uniti, lo scorso anno, possedevano un patrimonio netto di 80.7 trilioni di dollari (il 375% del Pil), superiore a ogni precedente livello storico.

Un prelievo del 5% di questa ricchezza genererebbe 4 trilioni di dollari e coprirebbe un quinto del Pil.

Solo questo risolverebbe la crisi causata della pandemia. L’espropriazione potrebbe comunque essere distribuita su più anni per evitare di affossare il mercato.

Tim Bond sostiene che lo scenario che si sta delineando è molto simile a quello della Gran Bretagna.

Ripartire i prelievi fiscali sulla plutocrazia — ossia su quell’1% — lungo un periodo di cinque anni genererebbe annualmente l’1.6% del Pil.

Se sia possibile colpire la ricchezza dei miliardari, senza alcuna conseguenza politica e senza contromosse, resta una questione aperta.

Ma l’accetta su qualcuno si abbatterà, in un modo o un altro.

Ed è meglio che la situazione finisca bene piuttosto che essere appesi a un lampione.

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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2021/02/09/business-elites-fear-revolution-hand/

FONTE



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