Il ritorno dell’America sbagliata

 Tim Black per spiked-online

“restauratori” politici, desiderosi del ritorno allo status quo pre-Trump e pre-Brexit, stanno presentando la neonata Amministrazione Biden come una forza volta al “bene globale”.

Non hanno trovato niente di minaccioso nel suo primo discorso di politica estera né nella sua dichiarazione di punta: “l’America è tornata”.

Niente di preoccupante nella sua promessa “l’America è pronta a indossare il mantello e a guidare di nuovo il mondo”.

Niente che ricordi il barbaro approccio etico degli anni di “Clinton, Bush e Obama”, nella sua determinazione a “reclamare la nostra autorità morale sulla scena mondiale”.

Al contrario, l’hanno interpretato come il segnale delle buone cose che verranno.

Una “boccata d’aria fresca”, come ha scritto il quotidiano britannico Observer.

Diamine, da “uomo morale” qual’è, Biden ha persino promesso di ritirare il sostegno americano alle “operazioni offensive” dell’Arabia Saudita nello Yemen“compresa la vendita di armi”.

Una mossa che l’ex pin-up del New Labour, David Miliband, ha definito come il “passaggio a un approccio diplomatico, dopo una fallita strategia di guerra”.

Il che sembrerebbe una buona notizia.

E’ una guerra che dura da sei anni, condotta dai sauditi contro gli Houthis dello Yemen sostenuti dall’Iran (le Nazioni Unite l’hanno definita una “catastrofe umanitaria”, visto che è costata la vita a più di 230.000 persone e ne ha lasciate molte di più senza casa e senza accesso ai servizi di base, come il cibo e l’acqua).

La devastazione, tutt’ora in corso, è stata parzialmente sostenuta dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, che hanno appoggiato la causa saudita.

Quindi, porre fine a quel sostegno è una cosa d’accogliere con favore.

Tuttavia, Joe Biden non ha promesso di ritirare del tutto il sostegno a Riyadh.

Il Dipartimento di Stato non ha nemmeno specificato cosa abbia inteso dire, il neo Presidente, con l’affermazione “cessazione della rilevante vendita di armi”.

Dopotutto, la “rilevante vendita di armi” potrebbe anche essere intesa come “armi di distruzione di massa” da parte di qualcun altro.

In effetti, Biden ha anche detto che: “… poiché l’Arabia Saudita deve affrontare attacchi missilistici, attacchi UAV e altre minacce da parte di forze sostenute dall’Iran anche in altri Paesi, continueremo a sostenere e ad aiutare l’Arabia Saudita a difendere la sua sovranità, la sua integrità territoriale e il suo popolo”.

La qual cosa, visto che gli Houthis dello Yemen sono compresi fra le “altre minacce da parte di forze sostenute dall’Iran in vari Paesi”, sembrerebbe il “via libera” alla continuazione della guerra, seppur in forma ridotta e quindi più accettabile a livello internazionale.

E allora il discorso di Biden, con il tanto decantato “aggiustamento della guerra nello Yemen“, non è stato esattamente una “boccata d’aria fresca” come preteso dai “restauratori”.

In effetti, perché mai avrebbe dovuto esserlo?

Questo non è un nuovo inizio, ma il riavvio dell’approccio di politica estera che era stato affinato fra la fine degli anni ’90 e tutti i 2000, con effetti a dir poco disastrosi.

Un approccio guidato ancora una volta dalla fin troppo familiare “brigata della guerra eterna”, che vede il mondo come un palcoscenico su cui gli Stati Uniti possono esibirsi e proiettare il loro “ruolo missionario”: spingere, pungolare e cambiare i “cattivi regimi” di tutto il mondo in nome della “democrazia” e sempre più del “cambiamento climatico”.

E al diavolo la sovranità.

Questo è ciò che si sarebbe dovuto comprendere dai discorsi altezzosi e autocelebrativi di Biden sul “recupero dell’autorità morale dell’America a livello internazionale”, e sul fatto che “siamo un paese che fa grandi cose”.

Non la promessa di un approccio pacifico per vie diplomatiche, ma la minaccia di un interventismo di ritorno ancor più posticcio e destabilizzante.

Dopotutto, sul “credo distruttivo” dell’”interventismo liberal”, Joe Biden ha numerosi precedenti.

È stato, come dice un articolo di Jacobin“un architetto chiave” del bombardamento NATO della Serbia nel 1999, un “campione” dell’invasione dell’Iraq nel 2003 e infine un “sostenitore” della guerra in Afghanistan, chiedendo persino, nel 2007, un aumento delle truppe.D’accordo, non è stato un “falco” come Hillary Clinton ma, davvero, chi altri potrebbe esserlo a quei livelli?

Tuttavia, è stato pur sempre disponibile a vedere la politica estera (il suo “primo amore”, come ha sostenuto l’addetto-stampa della Casa Bianca Jen Psaki) come una proiezione della “missione morale e globale dell’America”.

Biden, in effetti, fu un importante sostenitore dell’allargamento della NATO verso est, nel 1998, che prevedeva l’assorbimento di tre paesi del “blocco orientale” ai confini della Russia (nonostante gli Stati Uniti avessero promesso il contrario), facendo infiammare le relazioni post guerra-fredda.

E, fatto ancor più preoccupante, si è circondato di un Team per la “Sicurezza Nazionale” pieno di uomini dell’Amministrazione Obama-Clinton che, come disse The Nation: “sono stati gli architetti delle debacle in Iraq e Afghanistan, e poi dei disastri in Libia, Siria, Africa Occidentale e Yemen”.

Infatti, vale la pena ricordare che il nuovo Segretario di Stato americano sia un certo Anthony Blinken che, come Vice Segretario di Stato di Obama, nel 2015 spinse gli Stati Uniti a buttarsi a capofitto … ehm … nella guerra allo Yemen portata dall’Arabia Saudita.

“Abbiamo accelerato la consegna delle armi” — si vantava all’epoca — “… abbiamo aumentato la condivisione delle informazioni d’intelligence e abbiamo istituito una cellula per la pianificazione del coordinamento congiunto nel centro operativo saudita”.


Naturalmente, politicamente siamo molto lontani dal 2015.

E ancor più lontani dall’alta filigrana dell‘interventismo guidato dagli Stati Uniti, che culminò nella catastrofica invasione dell’Iraq, nel 2003.

Quindi, non aspettatevi una semplice replica di quel periodo.

Tuttavia, ciò che preoccupa è che la dinamica manichea e moraleggiante che ha informato e giustificato il “credo interventista” sia tutt’ora persistente, con i punti dell’“asse del male” di George W. Bush (Iran, Iraq e Corea del Nord) che sono cambiati e aumentati di numero.

Sì, Biden, Blinken e gli altri, ancora una volta, stanno prendendo di mira l’Iran che continuerà ad essere soggetto a quella che l’Amministrazione Trump chiamava una “politica di massima pressione”.

Ma stanno anche promettendo di muoversi più fermamente ed “eticamente” contro la Cina e la Russia.

La qual cosa significa che stanno ricominciando con la politica pre-Trump di dividere il mondo in “buoni e cattivi”, lungo linee dettate da una sorta di guerra culturale.

Così, nelle audizioni del “Gabinetto di Sicurezza Nazionale” tenute il mese scorso presso l’apposito Comitato Senatoriale, Blinken ha parlato cupamente del fatto di dover affrontare “la sfida posta dalla Russia” compresa, incredibilmente, l’offerta di fornire al Governo Ucraino un “supporto letale” contro di essa.

Ha parlato anche della necessità di dover adottare un approccio più duro nei confronti del Governo Cinese che lui, insieme a molti altri, accusa di genocidio contro i “musulmani uiguri”.

In effetti, l’accusa di genocidio sarà probabilmente il mezzo con cui gli Stati Uniti e i loro alleati giustificheranno l’intensificazione e la continuazione della “guerra culturale ed economica” di Obama e Trump contro la Cina.

Linda Thomas-Greenfield, candidata da Joe Biden ad “Ambasciatrice presso le Nazioni Unite“, ha definito la Cina come “un avversario strategico le cui azioni minacciano la nostra sicurezza, i nostri valori e il nostro stile di vita”.

La scorsa settimana, davanti a questo scenario davvero pericoloso, tutto quello che restava da fare era che Joe Biden presentasse il “potere degli Stati Uniti” come “baluardo” contro i malfattori di tutto il mondo.

“La leadership americana” — ha dichiarato — “deve affrontare questo nuovo autoritarismo, comprese la crescente ambizione della Cina di rivaleggiare con gli Stati Uniti e la determinazione della Russia a danneggiare e distruggere la nostra democrazia”.

Quindi sì … i “restauratori” possono esultare per la loro vittoria.

L’era dell’America First è finita ed è tornata la vecchia versione dell’America.

Ma è quella che molti di noi speravano di non dover vedere mai più.



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