Fabbricanti di virus: non solo Covid

 1 parte

In Ucraina ci sono 13 laboratori in cui si portano avanti ricerche avanzate di biomedicina. Ma che bello! Chissà, magari da lì un giorno verrà fuori qualche farmaco portentoso contro alcuni di quei malanni che rendono così dolorosa la vita di molti e così breve la giovinezza di tutti!  Beh, a dire il vero questi centri di ricerca sono lì da oltre un decennio e ancora non hanno prodotto nulla di utile. Cioè, di preciso non si sa perché quel che vi si studia è un segreto e chi ci lavora non rilascia dichiarazioni in merito. Si sa però che il personale è perlopiù americano e legato alle grandi compagnie farmaceutiche ma stranamente non si trova sotto la direzione delle autorità sanitarie bensì del Pentagono, che gli addetti godono dell’immunità diplomatica pur non essendo dei diplomatici e che nessuno può effettuare controlli all’interno del centro, nemmeno il ministro della sanità ucraino, che fino a due anni fa era guarda caso un’americana (Ulyana Suprun, nell’ambiente soprannominata ‘dottoressa Morte’).

Di queste misteriose e presunte officine della salute, solo in Ucraina ve ne sono quattro a Kiev e tre a Lvov, mentre le altre si trovano a Uzgorod, Ternopol, Vinniza, Odessa, Charkov e Cherson. Uno era inoltre previsto a Simferopol, in Crimea, prima che la penisola passasse alla Russia. Insomma, deve proprio avere qualche attrattiva particolare l’Ucraina per i medici americani, o almeno per quelli di loro che prendono ordini dai militari!

Però voltando pagina sull’atlante della bio-segretezza scopriamo che c’è qualcosa di simile, anzi di identico, anche in altri paesi e in particolare in quelli vicini alla Russia: almeno 7 centri in Armenia, 8 in Azerbaijan, 3 in Uzbekistan, 10 in Kazakistan e altrettanti in Georgia. A questi se ne aggiunge un discreto numero nell’Africa sub-sahariana nonché in Indocina. La vista d’insieme sulla mappa dell’Eurasia ricorda una cintura, non certo difensiva ma abbastanza minacciosa, che corre non molto distante dai confini russi e in parte cinesi. Tutti i bio-laboratori sono suddivisi sulla base di quattro diversi livelli di sicurezza, forse in relazione alle sostanze con cui si lavora, mentre almeno ufficialmente sono impegnati nella messa a punto di nuove difese contro agenti batteriologici, naturali e non.

Ora, viene da chiedersi, perché mai gli americani non effettuano tutti questi studi ed esperimenti a casa loro, o comunque là dove sarebbe più facile ed economico trasferire e movimentare personale e materiali? La risposta sembra elementare: perché se malauguratamente ci fosse un incidente e qualcuno inciampasse con una provetta contenente un batterio di quelli tosti, i guai si manifesterebbero in casa d’altri, almeno inizialmente. E fin qui la cosa avrebbe una sua logica, sia pure all’interno di un disegno osceno sul piano morale e particolarmente irriguardoso verso i paesi cosiddetti ‘amici’, i cui governanti evidentemente fanno buon viso a cattivo gioco e forse in modo per nulla disinteressato.

Però c’è dell’altro, poiché sembra proprio che in quegli antri della ricerca d’avanguardia di gente che inciampa con le provette ce ne sia un bel numero. Siamo nel campo dei sospetti naturalmente, ma se come diceva Agatha Christie tre indizi fanno una prova, allora in questo caso le prove sono schiaccianti. Proprio a Ternopol nel 2009 vi fu un’epidemia di polmonite emorragica, di natura sconosciuta, che in breve colpì 450 persone, di cui 14 non sopravvissero. Due anni dopo fu la volta del colera, con un migliaio di contagiati ed una trentina di vittime.

Passò ancora qualche anno e nel 2016 a Charkov duecento soldati vennero ospedalizzati; di questi una ventina morì a causa di un virus influenzale mai apparso prima. Nello stesso anno e nello stesso posto si verificò un focolaio di influenza suina con 364 persone colpite, la stessa responsabile della pandemia nel 2009. Altri focolai di minore entità ma di natura altrettanto inconsueta si verificarono a Zaporozhe, Odessa, Nikolajev e altrove. A ciò si aggiunse una serie di malattie di natura imprecisata che colpirono ripetutamente gli allevamenti di bestiame locali. Episodi che non possono passare inosservati. Un’indagine svolta del 2012 rilevò la pesante assenza di misure di sicurezza nei bio-laboratori e portò l’allora presidente Yanukovich (quello disarcionato dal golpe di piazza Maidan) a disporne la chiusura. Naturalmente come prima cosa il suo successore Poroshenko, inaugurando la sudditanza del proprio paese al nuovo padrone, ne permise la riapertura nonché il loro incremento.

La disattenzione del personale però non è l’unica spiegazione e soprattutto non è la più credibile. L’ex ministro georgiano Giorgadze, vittima politica delle epurazioni del locale governo filo-atlantista, ha denunciato nel 2018 una corposa attività di sperimentazione farmacologica sulla popolazione che avrebbe causato la morte di 73 persone e chiedendo di conseguenza la chiusura del Lugar Research Center di Tbilisi, altra ‘eccellenza’ biomedica giunta da oltre Atlantico. Meglio fare esperimenti con cavie di altri paesi, in effetti, come sanno bene anche alla Pfizer, nella cui lunga lista di condanne compare anche quella relativa a esperimenti condotti nel 1996 su bambini nigeriani, undici dei quali morirono e molti altri ne ebbero danni permanenti.

La diplomazia russa e quella cinese scorgono in tale scenario evidenti pericoli e li denunciano da anni senza risultati, anche perché con certi regimi non esistono deterrenti efficaci al di là del timore di subire ciò che essi impongono agli altri. Che nei bio-laboratori a guida Usa si cerchi alacremente di produrre strumenti di guerra batteriologica è in effetti ben più di un semplice sospetto e non è soltanto la loro dislocazione a evidenziarlo bensì un passato venuto nel tempo faticosamente a galla per dimostrare che tali azioni criminose sono state già compiute in un numero impressionante di casi, perfino sulla popolazione delle grandi città americane; uno dei primi esempi fu la disseminazione nel 1966 di spore batteriche nella metropolitana di New York e poi anche quella di Chicago per valutarne l’effetto.

Se le autorità americane autorizzano tali atti a danno dei propri concittadini, figuriamoci che cosa sono disposte a fare verso quei paesi considerati ‘nemici’ in virtù della loro ostinata resistenza alla sudditanza.

2 parte

Abbiamo notato nella prima parte come gli Usa operino l’accerchiamento continentale della Russia (e laddove lo consente la geografia, della Cina) non solo mediante una miriade di basi militari e installazioni missilistiche ma anche ricorrendo alla minaccia dell’attacco biologico, che si evidenzia attraverso una rete di laboratori collocati in modo da formare una cintura che corre praticamente dalla Polonia fino al Vietnam. Tali affermazioni potrebbero sembrare eccessive solo se si chiarissero in modo convincente le ragioni che giustificano tale dislocazione, cosa che evidentemente non rientra nelle intenzioni di Washington nonostante le ripetute richieste in tal senso. E nemmeno si conosce il numero esatto dei bio-laboratori, che sono comunque svariate centinaia. Quando Fauci, capo consigliere medico di Biden, chiede le cartelle cliniche dei ricercatori di Wuhan nonché indagini approfondite su ciò che vi si studia, dopo aver sostenuto l’origine naturale del covid-19 e poi l’esatto contrario, pretende dagli altri ciò che il suo paese non è mai stato disposto a concedere.

Cosa non nuova d’altra parte e non solo nell’ambito della ricerca. Chi non ricorda le accuse perlopiù false di possesso di “armi di distruzione di massa” rivolte all’Irak o alla Siria, o alla Corea del nord, proprio da parte dell’unico paese che le ha sfacciatamente impiegate in ogni conflitto? Vi è l’evidente presunzione da parte delle autorità politiche americane di poter commettere qualsiasi porcheria sfuggendo al rischio di subirne un danno non solo d’immagine. Ma anche quando il misfatto non può essere nascosto, sopravvive in quegli ambienti una certezza di impunità che prescinde dal controllo che essi esercitano sugli apparati d’informazione.

Tutti oggi sappiamo, o per meglio dire nulla ci impedisce di venirne a conoscenza, che in Indocina si riversarono tanti di quegli agenti tossici da condannare ai loro effetti intere generazioni, benché l’utilizzo di certe armi fosse da decenni vietato dalle convenzioni internazionali. La stessa cosa si può dire per l’Irak, divenuto un luogo di esperimenti mortali a cielo aperto in cui gli invasori disseminarono un po’ di tutto, come dimostrano ancora oggi le malformazioni ai neonati nei territori interessati dai bombardamenti. L’impiego di materiale radioattivo sull’ex-Jugoslavia, il cui movente riguarda più lo smaltimento delle scorie delle centrali nucleari americane che la distruzione obiettivi nemici, ci ha gettati in una realtà agghiacciante in cui la guerra nucleare diventa realizzabile anche senza l’effetto scenografico del fungo atomico.

Non essendo in Italia solo spettatori ma anche vittime di un impero che non ha amici ma solo servi, sappiamo bene che 369 militari italiani già sono morti per aver raccolto senza adeguata protezione la spazzatura radioattiva americana nelle campagne jugoslave e anche in Afghanistan. E che il numero è destinato a salire dato che altri 7500 sono malati di leucemia ed altre patologie connesse alla contaminazione nucleare. Nessuno è colpevole e figuriamoci se lo è il ministro della difesa dell’epoca, un certo Sergio Mattarella, o se la voce della vergogna può essere udita al di sopra del connivente gracidio nella palude parlamentare. Conosciamo ad esempio nei dettagli i pervicaci tentativi americani di sabotare l’economia ed il tessuto sociale di Cuba, dalla contaminazione dello zucchero al contagio con patogeni degli allevamenti, dalle bombe sugli aerei civili all’affondamento di pescherecci, dalla diffusione di zanzare portatrici di febbre gialla al sabotaggio di infrastrutture, oltre naturalmente all’embargo permanente e alle ritorsioni contro chiunque osi commerciare con l’isola. Non si trovano nella storia simili tentativi di strangolamento di un paese verso cui non vi sono rivendicazioni territoriali e la cui unica colpa è quella di essere sfuggita con le proprie forze all’assoggettamento.

Qualsiasi regime, anche con un curriculum meno terrificante di questo, distribuisse laboratori segreti di bio-medicina nei pressi dei paesi rivali, non sfuggirebbe al sospetto di architettare qualcosa di atroce. Con un salto in panorami solo apparentemente distopici è stato anche ipotizzato che la segretezza che circonda i biolaboratori dello zio Sam sia dovuta alla realizzazione delle cosiddette ‘armi etniche’, o se si preferisce genetiche, il che costituirebbe il punto d’arrivo di studi iniziati diversi decenni addietro. Si tratterebbe in sostanza di patologie che colpiscono selettivamente dei popoli lasciandone immuni gli altri, basandosi anche sul sequenziamento del genoma umano, completato di recente.

Non è ancora del tutto chiaro se strumenti del genere resteranno o meno relegati ai racconti di fantascienza, ma in ogni caso abbiamo a che fare con volontà brutali che si manifestano in assenza di qualsiasi vincolo etico e di cui noi in questa parte di mondo siamo ottusi e diligenti vassalli. Una condizione questa che tra non molto andrà a festeggiare il suo ottantesimo compleanno. Sarebbe ora che si spegnesse insieme alle ombre che proietta e ai disastri che ha provocato.


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