Dopo i chip, il “supermateriale” grafene. L’allarme inglese sugli investimenti cinesi

 Il ministro Kwarteng ordina uno scrutinio sull’acquisizione di un’azienda gallese di grafene da parte di una società nata a fine 2020 e legata a uno “scienziato” con importanti interessi commerciali in Cina. Ecco perché il caso Alpi Aviation può essere d’insegnamento per Londra

È ancora in corso lo scrutinio governativo sul passaggio di Newport Wafer Fab, la più importante azienda produttrice di semiconduttori nel Regno Unito con 450 dipendenti in Galles, nelle mani di Nexperia, società olandese controllata al 100% dalla cinese Wingtech Technology. E continuano a inseguirsi voci di una stretta, dopo quella a Huawei e Zte sul 5G, sul colosso cinese Cgn nei progetti nucleari britannici.

Ma un nuovo dossier è sul tavolo di Kwasi Kwarteng, ministro del governo di Boris Johnson con delega su Imprese, energia e politica industriale. Si tratta di quello relativo all’acquisizione di Perpetuus Group, piccolo produttore gallese del “supermateriale” grafene di 14 dipendenti e un fatturato annuo di 479.000 sterline (al marzo 2020), da parte di Taurus International o di qualsiasi società associata al dottor Zhongfu Zhou, presentato come “scienziato capo della nanotecnologia” sul sito web di Taurus International, con importanti interessi commerciali in Cina. Il ministro ha ordinato uno scrutinio di sicurezza nazionale alla Competition and Markets Authority, che ha tempo fino al 7 febbraio per completare le sue indagini.

A Downing Street sentono puzza di bruciato provenire da Lewisham, zona a Sud-Est della capitale. Lì ha sede Taurus International, fondato pochi mesi fa, nell’ottobre 2020: gli uffici sono registrati come casa bifamiliare e la società annovera un unico proprietario, Victor Gembala, attivo in particolare nel settore immobiliare.

La Competition and Markets Authority dovrà capire se qualcuno si nasconde dietro Taurus International. E se quel qualcuno è riconducibile al governo cinese.

In questo senso la storia di Alpi Aviation, l’azienda friulana produttrice di droni passata tre anni fa nelle mani di due società statuali cinesi con “modalità opache” secondo la Guardia di finanza, può aiutare. Infatti, la società italiana fu acquisita nel 2018, per il 75 per cento, da una società estera di Hong Kong (Mars Information Tecnology Co) costituita ad hoc poco prima dell’operazione. E questo come, come raccontato su Formiche.net, non appare affatto isolato.

Il grafene è un materiale made in England destinato a cambiare il volto a numerose industrie. È stato isolato nel 2004 dai fisici russi Andrej Gejm Konstantin Novosëlov dell’Università di Manchester, che nel 2010 hanno vinto per questo il premio Nobel per la fisica. Nel 2015 Huawei ha deciso di investire nel National Graphene Institute di Manchester, dopo una visita all’università da parte del presidente cinese, Xi Jinping. Il colosso cinese, come quello sudcoreano Samsung, sta studiando l’utilizzo del grafene nei telefoni cellulari.

Gli ultimi dati pubblicati dall’Office for National Statistics relativi al due trimestre dell’anno in scorso parlano chiaro: è dalla fine del 2018 che non si registrava un volume di acquisizioni di società britanniche da parte di aziende straniere così alto.

Diversi i casi in cui sono coinvolte aziende che lavorano con la Difesa. Il governo ha acceso un faro sulla società di componentistica aerospaziale Meggitt che sta per passare alla rivale americana Parker Hannifin per 6,3 miliardi di sterline; e su Ultra Electronics, azienda che fornisce tecnologia sensibile anche per gli F-35, che ha raggiunto un’intesa con il gruppo americano rivale Cobham per 2,6 miliardi di sterline.

Ma i principali timori riguardano la Cina. Il Regno Unito dovrà “rimanere aperto al commercio e agli investimenti cinesi” ma senza dimenticare che proprio la Cina rappresenta “la più grande minaccia statuale” alla sicurezza economica britannica. Con queste parole, contenute nella Integrated Review presentata a marzo, il governo Johnson tracciava la direzione dei rapporti bilaterali: servono infrastrutture critiche, siti sensibili e tecnologia più sicuri per consentire “rapporti commerciali più profondi e maggiori investimenti cinesi”, si legge ancora nel documento.

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