Governo Draghi: via le regole sugli appalti e licenziamenti liberi

 Nel suo primo discorso al Senato, a metà febbraio, il premier Mario Draghi aveva messo in cima alla lista delle priorità la protezione dei lavoratori e il rafforzamento del sistema di formazione e ricollocazione. Oggi, il governo Draghi accelera sulla fine del blocco dei licenziamenti. Inoltre, la compagine guidata dall’ex banchiere centrale, con il Decreto Semplificazioni, stravolge il Codice degli appalti.

Per quanto concerne il blocco dei licenziamenti, sebbene non ci fosse un accordo completo tra le parti (sindacati e Confindustria), il Ministro del Lavoro, Luca Orlando, aveva previsto che vi fossero tre scaglioni di uscita dal blocco: 30 giugno per le grandi imprese; 28 agosto per le aziende che avessero chiesto la cig Covid dall’entrata in vigore del decreto Sostegni bis, entro la fine di giugno; 31 ottobre per le piccole imprese. Risulta importante ricordare che il primo Decreto Sostegni, approvato in via definitiva dal Parlamento, prevede una proroga fino al 30 giugno per il settore manifatturiero e quello edilizio mentre fino al 31 ottobre per tutti gli altri settori. Alla fine, invece, scompare lo scaglione del 28 agosto: il 30 giugno per le grandi imprese di tutti i settori e il 31 ottobre per le piccole imprese. Resta un semplice incentivo: se dal primo di luglio le grandi aziende useranno la Cassa integrazione ordinaria non pagheranno le addizionali previste dalla legge, in cambio dell’impegno a non licenziare; questo sarà valido fino al 31 dicembre.

Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha affermato: «se le imprese hanno risorse e vengono dati loro finanziamenti e hanno opportunità di utilizzare la cassa integrazione senza pagarla non deve essere un’opzione licenziare o no a seconda di quello che conviene. Se hai aiuti pubblici, se hai addirittura gli strumenti che in questi mesi possono evitare di ricorrere ai licenziamenti senza costi aggiuntivi, deve diventare un vincolo per le imprese utilizzare quegli strumenti anziché ricorrere ai licenziamenti». In un’intervista a Radio anch’ioPierpaolo Bombardieri, leader della Uil, ha parlato di «recepimento delle richieste di Confindustria». Secondo Bombardieri sono a rischio «tra i 500.000 e i 2 milioni di posti di lavoro», ricordando anche come le risorse messe sul piatto dal governo per far fronte alla crisi economica siano andate per il 74% alle imprese. Il rischio, dice Bombardieri, è l’innesco di una «bomba sociale».

Altra questione delicata è il Codice degli appalti che il Decreto Semplificazioni va a modificare profondamente. Per prima cosa viene rivisto il sistema regolatorio dei subappalti e dei relativi controlli sul piano legale (certificazione antimafia delle aziende sub-appaltatrici, etc.). Altro aspetto di rilievo sono i rapporti contrattuali dei lavoratori dipendenti assunti in queste imprese in sub-appalto e il loro numero rispetto al totale dei lavoratori impiegati nel cantiere, passando dal 30% al 40%. Viene poi a modificarsi la valutazione di impatto ambientale, la valutazione ambientale strategica, gli organi destinati a dare le autorizzazioni ambientali e paesaggistiche e il restringimento delle funzioni di soprintendenza. Inutile dire che così facendo si rischiano infiltrazioni mafiose e da parte della criminalità organizzata mettendo in pericolo la sicurezza fisica e economica dei lavoratori, nonché quella ecologica dei luoghi oggetto delle opere.

[di Michele Manfrin] FONTE

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Geniale soluzione per l’occupazione: licenziare

Inaffidabile, è l’appellativo affibbiato dall’illuminato padronato italiano al ministro Orlando reo di aver insinuato proditoriamente, nel dl Sostegni Bis, due misurette, una che prorogava il blocco dei licenziamenti (che scade a fine giugno) al 28 agosto per le imprese che chiedono la Cig Covid entro giugno e la seconda che rendeva “gratuita” la Cig ordinaria a uso di chi non licenza.

E chi avrebbe mai immaginato che si fosse infiltrato nell’esecutivo un anarco insurrezionalista sotto copertura Pd? Appena rivelata la natura rivoluzionaria delle disposizioni, il governo ha fatto marcia indietro:  sconfessato il reo poi esibito alla conferenza stampa, mesto, contrito e pentito, fatto atto di contrizione con Confindustria.

Il blocco dei licenziamenti era stato introdotto a marzo 2020, all’avvio del lockdown, insieme a una serie di ammortizzatori sociali e poi reiteratamente riproposto, fino a quando nel  marzo 2021, con il primo decreto Sostegni, era stato previsto un calendario per lo sblocco a due velocità: proroga  fino al 30 giugno, quando  i licenziamenti economici sarebbero stati autorizzati per le imprese che per legge hanno diritto alla Cig ordinaria, quindi industria ed edilizia, mentre per il terziario  la  moratoria è estesa al 31 ottobre.

Perfino i sindacati erano usciti dal letargo accentuato dalla nenia narcotica propiziatoria delle regalie del Recovery, perfino loro si sono accorti che l’edificio degli ammortizzatori sociali è l’unico assente dai progetti per la ricostruzione e che nel Piano nazionale per la Next generation Ue è omesso ogni riferimento a redditi minimi e aiuti. Perfino il loro pallottoliere truccato aveva fatto due conti in croce accorgendosi che dei 40 miliardi “stanziati”, solo 4,5 sono destinati al pacchetto lavoro in qualità di sgravi alle aziende, “contratto di rioccupazione”  e decontribuzioni per turismo e commercio.

Chissà se insieme a Landini, posseduto inaspettatamente dai demoni del passato, quelli dell’articolo 18, dello statuto dei lavoratori, dell’impugnazione della Legge Fornero e che lo avevano abbandonato all’atto dell’accettazione ragionevole del Jobs Act,  anche Boeri potrebbe finire  in punizione dietro alla lavagna. Lui, per aver calcolato che il mercato del lavoro registra che in quest’anno e con le prospettive future, perderà un milione di lavoratori, fotografando gli effetti della gestione della pandemia: un crollo dei dipendenti con contratti temporanei (-13%), una sensibile riduzione dei lavoratori autonomi (-7%), e una perdita occupazionale (1 milione di lavoratori in meno) che ha maggiormente colpito le fasce più vulnerabili della classe lavoratrice donne e giovani.

Arrivando a ammettere che all’aumento dei disoccupati  si accompagna quello  degli inattivi,   coloro che non hanno un lavoro, ma non lo stanno cercando, non perché stesi come Andy Capp sul sofà davanti a Skay, a godersi il reddito di cittadinanza,  ma  perché, cito da lui “scoraggiati dalle condizioni di enorme difficoltà per accedere al mercato, o perché inibiti da doveri e vincoli familiari in assenza di alternative”, quindi madri, donne che accudiscono famigliari anziani o malati.

Ma non preoccupatevi, la Bocconi lascia un’impronta incancellabile, dopo la diagnosi, l’ex presidente dell’Inps ha pronta la ricetta tradizionale, dividere il fronte della “classe “ – si ricordano che c’è solo quando duole, altrimenti viene dichiarata morta come le ideologie – promuovendo forme di contrattazione decentrata a livello aziendale, favorendo quello che chiama sfacciatamente “lavoro di prossimità”, consistente in contratti anomali, part time, mobilità letto-scrivania h.24, precariato, e riqualificando il capitale umano, proverbialmente colpevole di essere causa del suo male, renitente a  aggiornarsi, la cui indole parassitaria è confermata dalla continua rivendicazione di irrealistiche pretese remunerative, che trasmette pari pari su per li rami alle generazioni successive, che rifiutano lavori stagionali e forme di volontariato, che migliorerebbero con il curriculum  la loro reputazione di servi obbedienti.

Siccome è un professore beneducato, un uomo di mondo, Boeri non rende immediatamente esplicita come altri più impudenti, la convinzione che anima i sacerdoti dell’economia neoliberista e che ormai innerva il discorso dominante. E cioè che solo un mercato del lavoro più flessibile permette di combattere la disoccupazione, che i diritti e le garanzie dei dipendenti costituiscono un fardello che impedisce alle aziende di fare nuove assunzioni.

Queste infami menzogne hanno preso talmente piede che nessuno da anni osa reclamare aumenti significativi degli stipendi, riduzione dell’orario di lavoro, rivalutazione delle pensioni, aumento del numero e della qualità dei servizi che permettono l’accesso a pari opportunità per le donne. Se un irriducibile “comunista” ha l’audacia di proporre elementari misure che migliorerebbero la nostra esistenza senza peraltro abbattere i tabù capitalistici, si sente rispondere che in una realtà globalizzata “è impossibile aumentare il salario di base, pena la delocalizzazione delle imprese”, che “tenuto conto del debito pubblico, è inattuabile investire in un sistema di welfare”.

Ancora una volta si riscontra che ci sono degli elementi che agiscono da fattori unificanti perfino in arene disciplinari proverbialmente rissose: ormai i tecnici in forza al ceto che prende le decisioni economiche e sociali sono unanimi nel riconoscere come un dogma o un paradigma indiscutibile che la creazione della ricchezza della quale si incarica l’élite “produttiva”, finanziaria e commerciale le attribuisce il potere esclusivo di decidere della sua ripartizione disuguale.

Solo scriteriati negazionisti di questa verità possono contestare il corollario di questo principio diventato legge naturale: quello secondo il quale per mettere in modo l’economia, bisogna svincolare il padronato e la sua libera iniziativa da lacci e laccioli, favorire il turnover cancellando esperienza e competenza per far posto a altri valori, ricattabilità, obbedienza,  fidelizzazione, e soprattutto rendere imperativo incontrastabile il precetto secondo il quale per mettere in moto la macchina dello sviluppo, per agitare beneficamente le acque stagnanti della palude del lavoro dipendente, dove nuotano parassiti indolenti, è necessario licenziare.

Licenziare! a scopo educativo oltre che punitivo, per confermare l’egemonia della dinamica precarietà, malgrado anni e anni di “riforme” abbiano dimostrato la loro inadeguatezza, incrementando i profitti e aumentando la disoccupazione, arricchendo i già ricchi, immiserendo le condizioni dei già miseri e allargando il numero dei nuovi poveri.

Anna Lombroso Fonte 

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