Vaccino obbligatorio? NO!
INALIENABILE E INVIOLABILE IL CONSENSO INFORMATO
E‘ accesa la polemica scatenata dalle ipotesi di obbligatorietà vaccinale nell’ambito delle c.d. “misure anti Covid”. Con il presente contributo Iustitia in Veritate intende fornire un aiuto per orientarsi legalmente in tale scenario.
Il dibattito è molto vivo a tutti i livelli: secondo alcuni la questione fondamentale in definitiva sarebbe “l’idoneità alla mansione” in base alla quale vige già da molti anni l’obbligo di vaccinazione antitetanica per alcune categorie di lavoratori. Anche in questo caso però c’è chi sostiene che il vaccino non possa essere un obbligo, dal momento che il D.Lgs. 81/08 art. 279 comma 2 lettera a) prevede che sia obbligatoria per il datore di lavoro, “la messa a disposizione di vaccini“, non che sia obbligatoria la vaccinazione.
Inoltre il comma 5 dello stesso articolo fa obbligo al Medico Competente di informare i lavoratori sui “vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione”; dunque salvaguardando di fatto la necessarietà di attingere un consenso “informato”.
In estrema sintesi si può quindi affermare che, da un punto di vista giuridico, allo stato non esiste alcun obbligo di vaccinarsi e nessun trattamento sanitario obbligatorio, e, poiché l’art. 304 comma 1 lettera d) del già citato decreto abroga “ogni altra disposizione legislativa e regolamentare nella materia disciplinata dal decreto legislativo medesimo incompatibili con lo stesso”, ciò vale anche per tutti i vaccini.
E, proprio perchè nessun vaccino è astrattamente esente dal provocare conseguenze negative permanenti sulla salute, va quindi anche ricordato che, qualora venisse accertato il nesso causale con la somministrazione, è possibile sempre agire per gli indennizzi previsti per gli eventuali danneggiamenti subiti.
Fatta questa premessa di carattere generale sull’obbligatorietà o meno dei vaccini, è indubbio che oggi siamo di fronte ad una ipotesi di obbligatorietà ben diversa e certamente più invasiva in quanto i c.d. “vaccini” quali strumenti di tutela contro l’epidemia da Covid-19 sono inequivocabilmente ancora di natura sperimentale.
A tal proposito la stessa European Medicines Agency (EMA) ha autorizzato la commercializzazione del Comirnaty (nome commerciale del vaccino della Pfizer), a condizione che a dicembre 2023 ne venga confermata l’efficacia e la sicurezza, pena il ritiro dal mercato a gennaio 2024. Ne consegue che la bontà della liberatoria che attualmente viene sottoscritta da chi sceglie di sottoporsi al vaccino, potrà essere confermata solo tra due anni, che corrispondono al periodo standard di sperimentazione [1].
Sono inoltre per lo più sconosciuti gli effetti a medio e lungo termine, mentre esiste già una variegata casistica delle reazioni avverse, anche gravi, inclusi alcuni decessi [2].
Va rilevato, inoltre, che nel foglietto illustrativo del vaccino Pfizer-Biontech, a pagina 9, è riportato che “Non sono stati condotti studi di genotossicità o sul potenziale cancerogeno.” [3].
E’ quindi opportuno ricordare che la genotossicità è la “è la capacità di una sostanza di indurre modificazioni all’interno della sequenza nucleotidica e della struttura del DNA di un organismo”.
Suscita non poche preoccupazioni, inoltre, la nota governativa sulle conclusioni dell’Agenzia europea per i medicinali in merito al “rilascio dell’autorizzazione al commercio subordinata a condizioni”, da cui emerge che il Comitato dei medicinali per uso umano (Committee for Human Medicinal Products, CHMP [4]) riterrebbe favorevole il rapporto beneficio/rischio per il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio subordinata a condizioni, come ulteriormente descritto nella relazione pubblica di valutazione europea (European Public Assessment Report, EPAR [5]).
E tali preoccupazioni sono ancora più fondate soprattutto a fronte di una sperimentazione ancora allo stato iniziale e rispetto alla quale poco si sa in merito all’effettiva durata della protezione offerta dal vaccino, alle sue limitazioni rispetto ad alcuni soggetti, alle interazioni con altri medicinali o di altro tipo, alle effettive limitazioni della sua efficacia, agli effetti nel periodo gestazionale, durante l’allattamento e alle ripercussioni sulla fertilità.
Con il presente documento, pertanto, intendiamo fornire un breve sussidio per orientarsi nei confronti di una più o meno pressante richiesta di sottoporsi al “vaccino anti Covid”, magari accompagnata da appelli all’etica o mascherata da un non meglio specificato invito alla solidarietà, confondendo di fatto il piano della necessaria tutela della salute con quello della doverosa – questa sì veramente etica – conoscenza ed informazione sia sulla provenienza dei vaccini, sia sui relativi rischi.
In merito alla prospettazione inerente la paventata “obbligatorietà” della vaccinazione per difendersi dall’epidemia da Covid-19, va doverosamente detto che allo stato attuale poco o niente si sa di alcuni dei componenti dei c.d. “vaccini” proposti che sono appena stati posti in commercio, e ancor meno dei possibili effetti collaterali indesiderati. Sarebbe una menzogna negare tali evidenze.
La nota informativa allegata al modulo del “consenso informato” della Vaccinazione anti Covid elenca infatti chiaramente una serie di reazioni negative al vaccino: tosse, febbre, dolori muscolari, etc., che però non destano preoccupazione. Ma è la stessa nota informativa ad ammettere che: “l’elenco di reazione avverse sovraesposto non è esaustivo di tutti i possibili effetti indesiderati che potrebbero manifestarsi durante l’assunzione del vaccino Pfizer-BioNTech Covid-19. Se Lei manifesta un qualsiasi effetto indesiderato non elencato informi immediatamente il proprio Medico curante” [6].
Tuttavia non è ben chiaro cosa possa fare il Medico curante, in assenza di una garanzia circa le reazioni da parte della stessa casa farmaceutica, soprattutto in quei casi in cui lo stesso modulo del consenso informato prevede come possibili conseguenze anche la “Paralisi facciale periferica acuta”.
Inoltre, il numero 10 dell’allegato del consenso informato recita: “Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”, avvertendo il cittadino rispetto ad eventuali effetti collaterali provocati dal vaccino nel lungo periodo (non meglio precisato). Il che è ancor è più inquietante se si considera che si prospetta di estendere l’obbligatorietà anche ai ragazzi (peraltro in contraddizione con le indicazioni della stessa Pfizer che nel foglio illustrativo del prodotto, al punto 1, sconsiglia la somministrazione del Comirnaty al di sotto dei 16 anni [1]).
Si ritorna dunque al punto cruciale per cui forniamo il presente sussidio orientativo e, nelle ipotesi più gravi, per fornire le motivazioni che possono essere fatte valere a fronte di un paventato obbligo che, a nostro parere, non ha allo stato alcun fondamento né giuridico né soprattutto etico.
Offriamo pertanto i seguenti spunti:
- anche se l’obbligatorietà venisse statuita per legge per alcune categorie o per tutti, permane la necessità di garantire ai singoli individui la libertà di scegliere quale vaccino fare tra quelli in commercio che, infatti, non sono tutti uguali e possono presentare componenti e rischi differenti.
- ancor più deve essere rispettato il principio secondo cui occorre il consenso informato dell’individuo:
- in primis perché – come prima accennato – non sono ancora state provate né la sicurezza né l’efficacia di tali vaccini;
- in secondo luogo perché nei c.d. bugiardini dei vaccini sono indicate possibili reazioni avverse anche molto gravi;
- infine perché le case farmaceutiche non solo non si assumono la responsabilità di eventuali reazioni avverse, ma hanno ottenuto da tutti i governi l’immunità per eventuali azioni risarcitorie a loro danno.
Occorre quindi dare uno sguardo al panorama normativo vigente.
Nell’ordinamento giuridico italiano ilprincipio del consenso informato trova fondamento costituzionale nell’art. 32 Cost.: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Tale disposizione, relativa specificamente alla tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo, deve essere presa in considerazione in combinato disposto con l’art. 13 Cost., che garantisce l’inviolabilità della libertà personale intesa anche come libertà di decidere in ordine alla propria salute ed al proprio corpo, e con l’art. 2 Cost., posto a presidio di tutti i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità.
Dalla Costituzione, quindi, si evincerebbe l’esistenza di un diritto costituzionalmente garantito dell’individuo a non subire trattamenti sanitari ai quali non abbia preventivamente e consapevolmente acconsentito. Eventuali costringimenti e/o pressioni più o meno palesi in ambito lavorativo che andassero a confliggere con il suddetto principio andrebbero comunque denunciati.
Ulteriori richiami normativi si possono rinvenire:
Nel codice di Norimberga dove, a seguito del processo svoltosi al termine della seconda guerra mondiale contro i medici nazisti che avevano perpetrato torture e sperimentazioni contro innocenti nei campi di sterminio, i giudici del tribunale svilupparono il codice in dieci punti per definire gli esperimenti medici ammissibili. Il primo criterio, che è anche il più importante, stabilisce che il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale.
In tali documenti viene cioè chiaramente esplicitato che «la persona coinvolta dovrebbe avere la capacità legale di dare il consenso, e dovrebbe quindi esercitare un libero potere di scelta, senza l’intervento di qualsiasi elemento di forzatura, frode, inganno, costrizione, esagerazione o altra ulteriore forma di obbligo o coercizione; dovrebbe avere, inoltre, sufficiente conoscenza e comprensione dell’argomento in questione tale da metterlo in condizione di prendere una decisione consapevole e saggia».
Nella Dichiarazione di Helsinki, che è un insieme dei principî etici intesi a orientare i medici nella sperimentazione umana, messi a punto dalla World Medical Association e adottati nel giugno del 1964 a Helsinki che ha recepito il principio del consenso, che da volontario diventava informato, quale requisito essenziale per rendere eticamente accettabile una ricerca clinica. La Dichiarazione sosteneva, per la prima volta, la necessità che i protocolli di ricerca clinica e le procedure per ottenere il consenso venissero esaminate da comitati etici indipendenti operanti però all’interno delle stesse istituzioni in cui vengono condotte le ricerche.
Pertanto, di fronte all’eventuale insistenza o pressione formale al convincimento occorre valutarne l’effettiva pregnanza vessatoria e, dunque, è opportuno che nella libertà di ognuno, si cerchi di rispondere affermando il proprio diritto al consenso informato ed alla libera scelta di sottoporsi alla vaccinazione proposta.
In primo luogo, infatti, imprescindibile è il principio sancito dalla legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), che all’art. 5 intitolato agli “Accertamenti sanitari”, vieta accertamenti da parte del datore di lavoro sulle condizione di salute dei lavoratori.
Si può quindi poi invocare anche l’art. 33 della L. 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che ha sancito la regola generale per cui il medico non può eseguire trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, a meno che questi non sia in grado di prestare in modo consapevole il proprio consenso e ricorrano i presupposti dello stato di necessità.
Successivamente, la Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata in Italia con la L 28 marzo 2001, n. 145, ha ribadito che «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato» (art. 5).
Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, all’art. 3 ha stabilito che «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» la quale si esplica, nell’ambito della medicina e della biologia, attraverso «il consenso libero e informato della persona interessata» a sottoporsi ad un determinato trattamento sanitario.
Nella Dichiarazione universale sulla bioetica ed i diritti umani dell’UNESCO, approvato nel 2005, all’art. 6 si legge inoltre: “Ogni intervento medico preventivo, diagnostico o terapeutico deve essere realizzato con il previo libero e informato consenso della persona interessata, basato su un’adeguata informazione. Il consenso, dove appropriato, deve essere espresso e può essere ritirato dalla persona interessata in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, senza conseguenti svantaggi o pregiudizi.”
Infine, la stessa prestazione del consenso informato è prevista e regolata anche dal Codice di deontologia medica del 2014 il quale, all’art. 35, che sancisce l’obbligo per il medico di acquisire il consenso del paziente e, conseguentemente, il divieto di «intraprendere o proseguire in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato».
Di conseguenza ad oggi sussiste il diritto ad acconsentire in modo informato al trattamento sanitario che, peraltro, costituisce un cardine del rapporto fiduciario medico-paziente e su di esso si fonda la legittimazione del professionista a prestare la sua attività terapeutica.
Un aspetto problematico appare lo scenario che si prospetta per i soggetti incapaci ricoverati presso strutture sanitarie assistite. Il decreto legge n. 1 del 5 gennaio 2021 stabilisce la possibilità di inoculare il vaccino senza il consenso di volontà del diretto interessato e suoi rappresentanti.
A chi ha i propri cari ricoverati in strutture sanitarie si può suggerire di vigilare attentamente, di rendersi sempre reperibili e, soprattutto, di specificare con la direzione della struttura la propria posizione in merito, anche tramite un legale, perché l’art. 5 di tale decreto legge stabilisce che “le persone incapaci ricoverate presso strutture sanitarie assistite, comunque denominate, esprimono il consenso al trattamento sanitario per le vaccinazioni anti Covid-19 a mezzo del relativo tutore, curatore o amministratore di sostegno” tuttavia “in caso di rifiuto di queste ultime, il direttore sanitario, o il responsabile medico della struttura in cui l’interessato è ricoverato, ovvero il direttore sanitario della ASL o il suo delegato, può richiedere, con ricorso al giudice tutelare ai sensi dell’articolo 3, comma 5 della legge 22 dicembre 2017, n. 219, di essere autorizzato a effettuare comunque la vaccinazione.”
Il giudice tutelare a sua volta ha 48 ore di tempo per convalidare o negare la convalida della richiesta di vaccinazione. Altre 48 ore sono il limite fissato per la comunicazione di tale convalida o diniego; ma, passati questi termini, è sconcertante che sia stabilito che: “Decorso il termine di cui al comma 7 senza che sia stata effettuata la comunicazione ivi prevista, il consenso si considera a ogni effetto convalidato e acquista definitiva efficacia ai fini della somministrazione del vaccino. “
Come si intuisce, la situazione è in continuo divenire ma, in effetti, sembra andare nella direzione di una sorta di obbligatorietà della vaccinazione ad oggi proposta.
Nella propria specifica situazione e circostanza ognuno può poter scegliere di agire secondo quello che ritiene più consono a salvaguardare la propria salute come sin qui espresso, dovendo e potendo decidere come resistere in coscienza e libertà nelle eventuali azioni obbligatorie – anche sotto forma di mobbing – in cui dovesse venirsi a trovare.
Restiamo quindi a disposizione per ogni consulenza più specifica, considerando e sottolineando che solo a fronte di un provvedimento formale eventualmente impositivo potrà effettivamente configurarsi la possibile azione di tutela rispetto alla sua asserita fondatezza e / o impugnabilità.
Conformemente al focus della nostra associazione, pertanto, continueremo a seguire gli sviluppi della politica sanitaria italiana rispetto agli eventuali conflitti con i diritti della persona e della libertà di coscienza di ognuno.
Ricordiamo infine che gli associati a Iustitia in Veritate hanno diritto a una consulenza e ad una assistenza specifica nel caso in cui si renda necessario il patrocinio legale.
Associazione Iustitia in Veritate
Corso Venezia 40, 20121 Milano
Email: asdilesi.covid19@gmail.com – Tel: 02/4507.6634
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